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Capitolo 9 - Va bene lo stesso
Roberto non dovette fare molta fatica per riordinare e pulire la stanza di Marco, anche perché, solo in casa, poteva finalmente camminare come un normale essere umano. Appese la frusta alla parete, ripose in un cesto i vestiti usati che il padrone aveva lasciato a terra, diede una spolverata alle mensole, lavò i piatti e i bicchieri sporchi in cucina. Infine si accucciò placidamente alla sinistra del letto di Marco, sulla sua copertina. Era stremato. Le botte ricevute gli facevano ancora male, e in più aveva vissuto un turbinio di emozioni e umiliazioni che lo avevano molto scosso. Provò a riordinare le idee e a riflettere sui tanti accadimenti di quel giorno, ma nelle condizioni in cui si trovava anche il parquet gli sembrò il più comodo dei giacigli. Dopo qualche minuto dormiva già come un sasso.
Due ore dopo, la porta di casa si aprì. Marco e Martina varcarono l'uscio, e ripresero a baciarsi appassionatamente sul divano nell'ingresso. Il fuoco ardeva veemente, ma il ragazzo riuscì a suggerire di spostarsi in camera, dove giaceva il piccolo schiavo. "È lui? Ma dai, è carinissimo"! "Non farti ingannare dalle apparenze, oggi si è comportato male. Mi ha disubbidito. Sono ancora molto arrabbiato con lui". "Come fai a non perdonarlo? Guarda che viso dolce che ha, dorme proprio beatamente". Marco sorrise. "Io non vorrei neanche punirlo. È molto affezionato a me, si butterebbe tra le fiamme se glielo chiedessi. Ma se non mi mostrassi inflessibile, le cose cambierebbero. E invece le cose non devono cambiare". Marco sbatté due volte il piede a terra e alzò il tono della voce: "schiavo! Schiavo! Svegliati, siamo a casa"! Roberto avvertì il rumore e la voce del padrone e si rianimò. Per qualche secondo rimase in uno stato confusionale. Poi alzò gli occhi e vide i due ragazzi in piedi davanti a lui. In un attimo realizzò. Si sollevò lentamente, perché gli faceva male tutto il corpo. Riprese la sua posizione standard, a quattro zampe, il volto ancora sfatto dal sonno, e con una flebile voce annunciò: "eccomi padrone, sono qui ai tuoi ordini, come sempre". "Ti presento Martina. Martina, lui è Roberto". "Ciao schiavo. Sai che sei veramente carino"? "Grazie signora, sei molto gentile. Sono il tuo umile servitore, chiedimi quello che vuoi e io eseguirò all'istante". Martina gli accarezzò la testa, come si fa coi cani. Marco evitò. Non voleva dare l'impressione di essere troppo tenero. "Allora, cosa fai? Non vedi che qui c'è una signora? Vai a prenderci qualcosa da bere"! "Subito padrone"! Lo schiavo gattonò fino in cucina. Preparò due ottimi cocktail, riflettendo su cos'altro si poteva fare per compiacere ulteriormente i due ragazzi. Aggiunse al vassoio due sigari, una candela profumata, dei fazzoletti, qualche stuzzichino. Si sentiva investito di un compito importante, il successo amoroso del suo padrone dipendeva anche da lui. Quando tornò in stanza, Marco e Martina stavano amoreggiando sul letto, già nudi. I vestiti erano tutti sul pavimento. Si avvicinò silenziosamente al letto, poi si inginocchiò col vassoio tra le mani. "Oh, ma ecco il mio schiavo che ci porta da bere! Guarda che servizio"! Martina si sedette sul bordo del letto, poggiando i piedi sulla copertina di Roberto, mentre Marco bevve disteso. "Che bravo che sei, schiavo", disse Martina sorseggiando il drink, "è anche ottimo". Roberto fu gratificato: "grazie mille signora, non c'è nulla che mi onori di più del soddisfare il mio padrone e i suoi ospiti". Marco fu mosso a compassione. Anche lui allungò la mano verso lo schiavo, accarezzandogli la testa: "bravo piccolo, stavolta hai fatto un ottimo lavoro". "Poverino, guardalo, è stanco morto. Perché non lo facciamo riposare? Ha tutta l'aria di aver passato una giornata infernale". In effetti l'espressione di Roberto suggeriva proprio quello. "Ma sì dai, riposati pure schiavo. Ci hai serviti bene. Appoggia il vassoio sul comodino e fatti un bel sonno, il tuo lavoro è finito". Martina alzò i piedi dalla copertina, e permise al ragazzo di stendersi. Poi si gettò tra le braccia di Marco.
Ovviamente, però, nella stanza, la situazione non favoriva chi volesse prendere sonno. Disteso sul parquet, Roberto vedeva sopra di sé il piede sinistro di Marco che sporgeva dal letto agitandosi, e le dita affusolate che si stringevano e si distendevano. Riusciva anche a scorgere la schiena di Martina, inarcata per il piacere, e i suoi lunghi capelli neri, che ballavano mentre andavano su e giù. La ragazza, di animo gentile, si era ripromessa di non urlare per non disturbare troppo lo schiavo, ma non riusciva a reprimere i gemiti. Marco era molto dotato. La stava facendo impazzire. Dopo appena qualche minuto, però, il telefono di Martina iniziò a suonare dalla borsa che aveva lasciato in corridoio. "Oh no, ti prego, dimmi che non è vero"! "Aspetta! Non ti muovere", fece Marco, che non voleva per nessuna ragione estrarre la spada dal fodero, "schiavo, vai a prendere il telefono di Martina. Corri, sei autorizzato". Roberto, che era ancora ben sveglio, balzò in piedi e fece uno scatto. Tornò immediatamente, e inginocchiandosi porse il telefono alla ragazza. "Pronto?... Cosa c'è ancora"? Martina fece una smorfia. "Cosa? Ma è prestissimo mamma, perché devo tornare"? Marco si preoccupò molto. Continuava a scopare, mentre la ragazza parlava. A un certo punto lei stessa, non riuscendo a mantenere la concentrazione, si staccò e scese dal letto. "Possibile che non posso passare una serata in santa pace? Sono maggiorenne, perché ho ancora il vostro fiato sul collo?... Ma insomma... Tu non capisci... Cosa ti importa di cosa sto facendo? Saranno affari miei o no"? La conversazione andò avanti ancora un paio di minuti. Alla fine Martina attaccò. "Mi dispiace, devo andare". "Eh? Ma come? Mi avevi detto che stasera avremmo... Insomma avremmo scopato! Almeno finiamo, sono tre giorni che ho le palle che mi esplodono"! "Non posso, non posso, mi dispiace", rispose la ragazza, "tra dieci minuti i miei saranno in piazza, con l'auto. Ho detto che mi avrebbero trovato lì. Devo scappare, e subito". Marco fece cadere la testa sul cuscino, con il cazzö ancora dritto. Sbuffò. "Ti prego scusami, non posso farci niente. Ho dei genitori psicopatici"! Marco si asciugò la fronte e la guardò rivestirsi, mentre lo schiavo le passava gli abiti. Poi si alzò e le diede un bacio sulle labbra. "Scusami tu, sono stato un cafone". "Ma no, non preoccuparti, ti capisco benissimo. Anch'io ho molta voglia. Ti prometto che tornerò presto".
Martina terminò la sua vestizione. Marco la accompagnò alla porta, completamente nudo. Voleva che l'immagine del suo uccello barzotto la accompagnasse per tutto il viaggio di ritorno, e magari anche oltre. Le diede un ultimo bacio, poi la lasciò andare. Tornò in stanza e, senza dire una parola a Roberto, che intanto aveva ripreso posto sulla sua copertina, spense la luce e si infilò sotto il lenzuolo. Iniziò con calma a masturbarsi, facendo partire un porno sullo smartphone. Roberto, disteso, taceva. Ascoltava i gridolini che provenivano dal telefono del padrone, nonché il suono acquoso provocato dall'atto, e nonostante il buio intuì facilmente cosa stava accadendo. Non era la prima volta che Marco si faceva una sega in sua presenza. Chiuse gli occhi, e provò a riaddormentarsi. Pochi minuti dopo si sentì chiamare a bassa voce: "schiavo! Schiavo, sei sveglio"? Essendo in uno stato di dormiveglia, Roberto non rispose subito. Marco, spazientito, allungò un piede verso di lui, e iniziò a strofinarlo sul suo viso. "Eh? Eh? Cosa...?" "Oh, ti svegli o no?", alzò la voce il padrone, dandogli un paio di schiaffi in faccia col piede. "Oh, scusa, scusami padrone. Dimmi, cosa c'è"? "Mettiti in ginocchio". Roberto era molto provato. Non si reggeva più in piedi dalla stanchezza, ma trovò le forze per ubbidire e si prostrò al bordo del letto. "Metti la testa sotto il lenzuolo". Roberto ebbe un sussulto. Non si aspettava quell'ordine. Cosa aveva intenzione di fare il suo padrone? Nel dubbio, fece come gli era stato ordinato. Appoggiò il mento sul letto, e si coprì con il lenzuolo. Poi avvertì degli strani movimenti, finché la mano di Marco non raggiunse il suo viso. Lo tastò, per farsi un'idea della posizione. Poi gli infilò due dita in bocca, che presto diventarono tre. La posizione era molto scomoda per Roberto. Doveva tenere la schiena piegata in avanti in modo innaturale, e in più aveva un forte dolore alle ginocchia. A tutto ciò si aggiungeva la stanchezza. Quella giornata sembrava non avere mai fine. Marco divaricò ben bene le labbra dello schiavo, per rendere la sua bocca il più confortevole possibile. Poi ci infilò il cazzö e iniziò a farlo ambientare lentamente. Roberto sentiva il membro del padrone crescere tra le sue labbra. Non gli era mai capitato prima, ma sapeva che in quel caso era suo preciso dovere succhiare. E così fece. Ma a Marco non interessava un pompino. Voleva scopare. Disteso comodamente su un fianco, afferrò i capelli dello schiavo e iniziò a muovere il bacino su e giù, sempre più veloce, sempre più prepotente. Roberto incassava ogni colpo al meglio che poteva, ma quel pene stava raggiungendo dimensioni davvero importanti, e la bocca gli faceva pure piuttosto male, essendo stata abusata in precedenza dai piedi di Simone. Nonostante ciò, non si tirò indietro. Il suo padrone voleva sborrare, e lui doveva fare di tutto per accontentarlo. Marco stava godendo parecchio. Il porno lo eccitava, e la bocca dello schiavo si stava dimostrando molto adatta al compito assegnato. Cercava di non pensare al fatto che stesse compiendo un atto sessuale con un altro maschio, e così si arrabbiava quando Roberto, pur con la bocca tappata, emetteva qualche suono. La terza volta che successe, sempre col cazzö ben piantato nella sua bocca, gli tirò un paio di schiaffi in faccia. "Vuoi stare zitto o no? Sto cercando di concentrarmi"!
Roberto era sempre più difficoltà, ma sentiva che qualcosa si muoveva anche dentro di lui. Qualcosa rimasto sopito per molto tempo. Istintivamente fece calare la mano destra nel suo mutandone da schiavo, e toccò il freddo, gelido metallo della piccola capsula in cui era custodito il suo pene, impossibilitato a dare anche il minimo segno di vita. Che contrasto col cazzö del suo padrone, grosso, imponente, libero di sguazzare, di affondare colpi su colpi e di trovare piacere nella sua bocca, o dovunque egli volesse. Un altro segno tangibile della sua netta superiorità. A un certo punto Marco, soddisfatto di come stavano andando le cose, gli fece prendere un po' d'aria, sempre da sotto il lenzuolo. "Tutto bene lì sotto? Come va"? Roberto prese fiato. "B-bene. Bene. Grazie padrone, sto bene. Mi fanno solo un po' male le ginocchia". "Come a tutte le püttanelle", rispose Marco ridendo. E afferratolo di nuovo per i capelli, riprese a scopargli la gola. Passò ancora qualche minuto. Poi la presa sui capelli si fece più stringente. Marco tirò fuori buona parte dell'uccello, lasciando dentro solo la cappella, e prese a sfregare la zona immediatamente sottostante tra le labbra del suo schiavo, aiutandosi con una mano. Pochi attimi dopo la bocca di Roberto fu invasa da un fiume di sperma. Un fiume tenuto appositamente entro gli argini per tre giorni, e che finalmente poteva esondare. Roberto fu pervaso da un senso di nausea. Avrebbe sputato tutto subito, ma le parole di Marco lo fulminarono all'istante: "guai a te se sporchi qualcosa! Ingoia tutto"! Imponendosi un ultimo, supremo sforzo, il giovane mandò giù fino all'ultima goccia. Compito reso ancora più problematico dal fatto che Marco, molto soddisfatto, continuava a tastare le pareti interne della sua bocca, alla ricerca degli ultimi momenti di piacere. Finalmente, placate tutte le sue voglie, il padrone tirò fuori il cazzö e si distese a pancia in su, sorridendo beato. Non aveva potuto fare sesso come gli sarebbe piaciuto, ma non tutto il male era venuto per nuocere. Adesso sapeva che, in caso di necessità, il suo schiavo avrebbe provveduto egregiamente anche a svuotargli le palle. Appoggiò la pianta del piede sul suo viso e gli diede una spintarella, facendolo cadere sul pavimento. "Giù", gli disse. Poi si voltò, e si addormentò come un angioletto.
Edited by Gustibus - 16/4/2024, 00:27
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