Vae victis

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    Capitolo 4 - Tradimento

    Erano passati tre giorni da quando Simone era venuto a trovare Marco, e da allora non si era fatto più vedere. Roberto era rimasto traumatizzato da quegli eventi. La sola idea di dover avere a che fare con quel brutale individuo lo gettava nel panico. In compenso aveva sviluppato una morbosa attenzione per Marco, che aveva inconsciamente (e probabilmente a ragione) individuato come la sua unica ancora di salvezza dalla crudeltà del mondo. Era diventato ancora più servile, e non c'era nulla che gli facesse più piacere del vedere il padroncino soddisfatto di lui. Faceva i suoi compiti con gioia, così Marco poteva passare il suo tempo in modo spensierato. Gli lustrava la stanza come uno specchio, facendolo vivere nella pulizia. Persino lavargli a mano la biancheria sporca era diventata un'attività cui prestare la massima dedizione. Non che ce ne fosse bisogno, la casa era ovviamente fornita di una lavatrice, ma usare lo schiavo costava meno; e poi, come recitava il Codice della Disciplina, che Roberto aveva studiato con molta cura, "ciò che il padrone sporca, lo schiavo pulisce".

    E fu proprio mentre strofinava con cura gli indumenti del calcetto di Marco, che questi lo richiamò in camera sua: "schiavo, dove sei? Vieni qui subito".
    Roberto non se lo fece ripetere due volte: in pochi balzi si trovò in ginocchio davanti a lui, i palmi delle mani sul pavimento: "eccomi padrone, comandami tutto ciò che vuoi".
    Marco era in piedi, appoggiato con le spalle a un grosso armadio, gambe incrociate una davanti all'altra, e giocherellava col telefonino. Indossava una canotta grigia, un paio di boxer neri e i soliti fantasmini bianchi. Senza degnare Roberto di uno sguardo, gli disse semplicemente: "muoviti a lavare la roba del calcetto, tra mezz'ora devi andare da Simone".
    Roberto si sentì come trapassato da una freccia.
    "P-p-perché, padrone? Perché devo andare..."
    "Non ti preoccupare, niente di complicato. Deve pulire e riordinare la stanza e si scoccia di farlo, mi ha chiesto di mandare te. In un paio d'ore te la sbrighi".
    "Un... Un paio d'ore? Con lui"?
    Marco, che non era abituato a sentirsi fare troppe domande quando dava un ordine, alzò finalmente gli occhi dal telefono: "che vuoi dire?"
    "Io... Io ho paura. L'altro giorno lui mi ha..."
    "Ah sì, sì, certo, dimenticavo che non siete partiti col piede giusto voi due. Stai tranquillo, ci ho parlato io, si è dispiaciuto per averti fatto troppo male. Tu comportati da bravo schiavo premuroso e vedrai che andrà tutto bene". E così dicendo, tornò a concentrarsi sul telefono.
    Roberto era sotto shock. Non solo era costretto a passare due ore almeno con quel mostro, ma doveva anche fargli da bravo schiavo premuroso. A lui, a quel ragazzo che rideva a crepapelle mentre lo massacrava, che godeva a vederlo soffrire.
    "Padrone ti... Ti prego in ginocchio, non mandarmi da lui!"
    "Cos'hai detto?"
    "Ti prego, ti scongiuro! Non mandarmi da lui! Se vuoi picchiami tu stesso, ma non farmi picchiare da lui! Io lo odio!"
    Marco lanciò allo schiavo uno sguardo interdetto. "Tu... Tu stai discutendo un mio ordine?"
    "Io... Certo che no padrone, io faccio tutto quello che vuoi ma..."
    "Ma? C'è un ma? E da quando?"
    La conversazione aveva preso una brutta piega. Roberto aveva parlato male, ammesso che avesse a disposizione altri modi per esprimere il suo concetto. Guardava dal basso verso l'alto il suo padrone, che lo stava incenerendo con lo sguardo. Sì rese conto che in pochi istanti aveva vanificato enormi sacrifici e aveva buttato al vento la cosa più preziosa che aveva: la benevolenza di Marco. Confuso e impaurito, si gettò singhiozzando sul pavimento e abbracciò la sua caviglia sinistra.
    "Perdonami padrone, perdonami! Io non vorrei mai disobbedirti! Io vorrei solo servirti in tutto e per tutto, sono il tuo schiavo, vivo solo per te!"
    "Bugiardo".
    Marco era visibilmente molto deluso. Roberto gli stringeva la caviglia come se da quella presa fosse dipesa la sua stessa vita. Iniziò a baciargli compulsivamente il piede sinistro, manco fosse una reliquia. In pochi secondi la sua bocca si posò su ogni angolo del fantasmino, dal collo alle dita. Voleva dimostrare al padrone la sua più completa fedeltà e devozione. E ogni quattro-cinque baci ripeteva singhiozzando come una litania: "perdonami"... "Ti prego"... "Pietà"...

    Il piede di Marco, piantato a terra, non si muoveva di un millimetro. Saldissimo, indifferente alle sdolcinatezze, reggeva una gamba atletica, anch'essa immobile come una colonna. Dall' alto di quella gamba, Marco osservava la scena profondamente sdegnato e disgustato. Lo schiavo gli aveva dimostrato una grave infedeltà: non solo aveva protestato contro un suo ordine, ma lo aveva fatto per un motivo egoistico. Evidentemente aveva a cuore se stesso e il suo bene più di quello del suo padrone. Pur di non correre pericoli, avrebbe lasciato che lui venisse meno alla sua parola, e facesse una brutta figura con un amico. Che putrido verme schifoso.
    Evidentemente quel rifiuto umano riteneva che i suoi interessi potessero prevalere su quelli del suo padrone. Perseguendo la sua volontà, lo schiavo aveva commesso tradimento. E il tradimento non si lascia mai impunito, se si vuole preservare l'ordine.
    Roberto, sempre impegnato a sbaciucchiare il 44 del suo proprietario, avvertì improvvisamente un movimento di lui. Staccò per un attimo il viso dal calzino inumidito dalla sua saliva, e diede uno sguardo verso l'alto. Vide un bellissimo ragazzo coi capelli illuminati dal sole, il nero delle sue mutande, e il bianco, ingrigito dalla polvere, della pianta del suo piede destro, che si avvicinava sempre di più. Ciò che vedeva era la giustizia, intenta a ristabilire l'ordine naturale delle cose.
    E la giustizia si abbatté su Roberto con una furia cieca. Marco iniziò a bombardarlo di pedate nei fianchi e nello stomaco, colpendo dal basso verso l'alto col piede libero. Sulle prime lo schiavo provò a rimanere attaccato alla caviglia. Poi capì che gli servivano le mani per proteggersi, ma era quasi impossibile opporsi. Roberto si proteggeva le parti basse, e bum, pedata in faccia. Si proteggeva la faccia, e bum, pedata nello stomaco. Si proteggeva la pancia e bing, pedata nelle parti basse.
    Il massacro andò avanti per un po'. Marco si calmò solo dopo aver rifilato una ventina di calci al suo servo, spiaccicandolo a terra come plastilina.
    Era stanco, ma si sentiva rinfrancato. Aveva compiuto un atto di giustizia, vendicando il più vile e disgustoso dei crimini. Il suo piede aveva riportato l'ordine, schiacciando il malvagio serpente che aveva tentato di ribellarsi.
    "P-p-perdono... Perdono..."
    "No, stavolta l'hai fatta grossa".
    Con il corpo che gli doleva tutto, Roberto strisciò verso il piede destro di Marco, anch'esso ora poggiato al suolo.
    "Perdonami, ti prego. Io... Io ho solo te." E pronunciate queste parole, cominciò a baciare dolcemente anche il piede che lo aveva gonfiato.
    Marco ne fu contento. Non tollerava l'insubordinazione, ma quello che vedeva gli sembrava un pentimento sincero. Come gesto di distensione, sollevò leggermente l'alluce dal pavimento. Lo schiavo colse il messaggio e iniziò a succhiarglielo delicatamente, nonostante la polvere che si era accumulata sotto il calzino. Marco sorrise.
    "E va bene, basta così. Non voglio dartene troppe, io sono un padrone giusto".
    "Sì, sì, è vero padroncino mio, tu sei giusto e buono. Io ho sbagliato, non dovevo contraddirti".
    "Mi fa piacere che tu lo abbia capito".
    "Perdonami, perdonami. Credimi, sono il tuo schiavo fedele".
    "Eppure mi hai disobbedito. Questo è molto grave, devi imparare a essere umile e a non protestare. Per ricordarti bene il tuo posto, domani mattina piscerò nel dispenser della tua acqua".
    "Sì padrone, me lo merito! Tu sei sempre buono con me, e io ti ho disobbedito. È una punizione giusta!"
    Marco si calò leggermente in avanti, staccò lo schiavo dal suo piede alzandolo per i capelli e gli infilò in bocca tre dita della mano destra. Non dovette fare molta fatica, perché Roberto era ormai totalmente passivo. Avrebbe accettato senza fiatare anche se gli avessero ordinato di buttarsi di sotto. Il suo ego, o quel poco che ne era rimasto, era stato annientato.
    "Inoltre, ora andrai da Simone con questa". Marco prese la frusta, che non era stata toccata da tre giorni, e la ficcò tra i denti dello schiavo, che continuava a tenere per i capelli.
    "Dirai che sei il suo umile servitore, e che sei felice di eseguire i suoi ordini. Che gli porti anche la frusta per mostrare la tua devozione incondizionata. Mi sono spiegato?"
    "Fì, padrone".
    Marco mollò la presa, e lasciò ricadere lo schiavo con la faccia sul parquet.
     
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    SCHIAVO LECCAPIEDI

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    Bellissima la scena finale di mandare
    Roberto da Simone con in bocca la frusta. Sei un grande, complimenti.
     
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    Grandeee e continua, ora lo schiavo deve essere punito, mai contraddire il Padrone
     
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    bel racconto!
     
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    Capitolo 5 - Una strana famiglia

    Roberto sollevò la mano destra dal pavimento del pianerottolo e bussò alla porta, che si aprì quasi subito. Dalla sua posizione a quattro zampe riuscì a vedere solo la metà inferiore di chi gli aveva aperto: un pantalone di tuta nero, piedi nudi smaltati dello stesso colore. Doveva essere la mamma di Simone. Sembrava una figura abbastanza slanciata e atletica.
    "Tu devi essere lo schiavo di Marco, Simone mi ha avvertito che saresti venuto".
    Roberto avrebbe voluto rispondere a voce, ma dovette limitarsi a un cenno col capo a causa della frusta che stringeva tra i denti.
    "Ecco, la stanza è in fondo al corridoio. Ti aspetta un duro lavoro".
    Mentre pronunciava queste parole, la donna notò che il giovane schiavo trascinava una gamba, che sembrava dolorante, e che a tratti tremava. Non seppe trattenersi: "cos'è, Marco ti ha picchiato"?
    Roberto trasalì. Non sapeva che rispondere, perché non voleva mentire, ma non voleva neanche mettere in cattiva luce l'amato padroncino. Ogni suo dubbio fu però fugato dalla successiva battuta della donna: "Marco è un ragazzo d'oro. Tutti gli vogliono bene, perché è sempre gentile e disponibile, oltre ad essere bello come il sole. Se ti ha picchiato è sicuramente colpa tua".
    Stavolta lo schiavo volle confermare. Piegò il viso sul pavimento, adagiò a terra la frusta e liberata la bocca rispose con la massima sincerità: "sì signora, proprio così. La colpa è tutta mia, il mio padrone ha solo punito i miei crimini. E io lo ringrazio per avermi purificato".
    Il giovane non poteva vederlo, ma sul volto della donna si dipinse un sorriso soddisfatto, come se si trovasse di fronte all'ennesima conferma empirica di ciò che pensava da sempre: "tutti così voi, luridi parassiti! Prima ci accoltellate alle spalle, e poi credete di cavarvela con qualche sguardo basso e una professione d'umiltà. Se tu appartenessi a me, invece che a un ragazzo così buono, allora fileresti dritto, eccome! Saprei io come raddrizzarti, piccolo verme!"
    Roberto non osava immaginare quale trattamento gli sarebbe toccato se fosse finito in quella casa, visto che le pene comminategli sinora comprendevano già una scarica di calci, una giornata di acqua inquinata dall'urina e molto probabilmente qualche altra frustata. Punizioni che egli riteneva giuste, ma francamente anche sufficienti. In ogni caso il giovane non volle replicare per timore di irritare la donna. Si limitò a incassare l'ennesima umiliazione, sussurrando un "sì signora". Raccolse la frusta tra i denti e fece per avviarsi lungo il corridoio.
    "Ah, aspetta, è quasi l'ora della merenda di Simone", disse la mamma del ragazzo, spostandosi verso i fornelli. Dopo qualche minuto tornò a girarsi verso Roberto, e lo ritrovò esattamente dove lo aveva lasciato, a quattro zampe in mezzo alla cucina. Gli appoggiò un vassoio d'acciaio tra le scapole e il pesante collare, e lo indirizzò nuovamente verso la stanza di Simone.

    Lungo il corridoio successe un altro fatto bizzarro. Una porta si aprì qualche metro davanti a Roberto. Ne uscì un bel ragazzo, sui 25 anni, capelli lunghi e mossi, castani. Portava un paio di occhiali, teneva una cartella sotto il braccio ed era vestito molto elegantemente, con un completo marrone e dei mocassini in tinta. Il ragazzo non poté fare a meno di notare lo schiavo. Giunto di fronte a lui, senza dire una parola si piegò leggermente sulle gambe, gli afferrò le guance con una mano e iniziò a studiare il suo viso, scrutandolo attraverso gli occhiali. La fase di studio durò pochi secondi. Poi il ragazzo si piegò leggermente all'indietro e fece partire un copioso sputo, seguito a poca distanza temporale da un altro più piccolo. E fatto ciò, sempre senza dir niente, si rialzò, si strofinò le mani come per pulirsele, e riprese il percorso originario, lasciando dietro di sé lo schiavo allibito e tutto sputacchiato.
    Fu così che Roberto fece per la prima volta ingresso nella stanza del suo peggiore aguzzino: a quattro zampe, con la faccia piena di saliva, una frusta in bocca e un vassoio pieno di squisitezze sulle spalle.

    La porta era socchiusa. Roberto sentì russare dall'interno, e concluse che Simone stava dormendo. Diede una piccola spallata alla porta e oltrepassò l'uscio. La stanza di Simone, illuminata naturalmente attraverso il balcone, sembrò allo schiavo molto più piccola di quella di Marco. Un letto a una sola piazza occupava mezza parete lunga. Vedeva anche una scrivania, un armadio, un comodino. Tutto versava in condizioni pietose, e il disordine regnava sovrano: sui mobili erano accumulati vestiti di ogni genere, biancheria intima sporca, cartacce, lattine di birra, resti di pasti di chissà quanto tempo risalenti, fazzoletti sporchi appiccicati che emanavano un odore molto sospetto.
    Ma in quell'antro l'odore era disgustoso complessivamente. Un miscuglio letale di ascelle, piedi, sperma, cibo, alcol, scoregge. Il primo odore che Roberto sentì fu proprio quello dei piedi di Simone, perché se li ritrovò subito a sinistra. Lo schiavo notò con orrore che il ragazzo portava ancora gli stessi calzini di spugna di tre giorni prima, ancora più ingialliti, ancora più nauseabondi. Dormiva riverso sul lato, con un braccio che pendeva verso l'esterno, solo parzialmente coperto da un lenzuolo evidentemente usurato e pieno di macchie. Roberto gli si avvicinò e iniziò a strofinargli il viso contro la mano. Incredibile, anche quella puzzava! A giudicare dall'odore, il ragazzo si era masturbato poco prima di addormentarsi.
    Simone aprì gli occhi, e in un attimo realizzò che aveva di fronte a sé una delle scene più patetiche a cui aveva mai assistito. Scoppiò a ridere: "buongiorno schiavo! Vedo che mi hai portato la merenda".
    Roberto lasciò cadere sul letto la frusta che aveva tra i denti e abbassò umilmente lo sguardo: "buongiorno signore. Sono il tuo umile servitore, sarò felice di eseguire tutti i tuoi ordini. Ti ho portato questa frusta per mostrare la mia devozione incondizionata nei tuoi confronti". Le parole gli si strozzavano in gola, ma riuscì a terminare la formula che gli era stata insegnata.
    Simone neanche gli prestò attenzione.
    "Chi ti ha sputato in faccia? Scommetto che è stato quello stronzo di mio fratello. Per caso era vestito come un cogliöne"?
    "Signore perdonami, ma non posso offendere delle persone libere rispondendo positivamente alla tua domanda, commetterei un crimine".
    "Sì, sì, certo certo. Va bene dai, non te la prendere, come ti ho detto è un cogliöne. Adesso vuole entrare in politica e per darsi delle arie ha iniziato a sputare su tutti gli schiavi che incontra".
    Roberto era abbastanza stupito. Simone sembrava ignorare totalmente la frusta che solo qualche giorno prima tanto entusiasmo aveva suscitato in lui, e non aveva ancora dato alcun segno di instabilità.
    Simone si issò nel letto, appoggiò le spalle allo schienale e lanciò uno sguardo panoramico ai dintorni. Prese da terra uno dei fazzoletti sporchi che vi giacevano e lo passò sulla faccia di Roberto: "ecco fatto, adesso puliamo tutto".
    Poi afferrò il collare dello schiavo, tirandolo verso l'interno del letto. Lo piazzò sopra le proprie gambe, ricavandone un perfetto tavolino da colazione a letto. Guardò il vassoio davanti a sé e tutte le meraviglie che lo riempivano, aveva già l'acquolina in bocca. Ma proprio quando stava per afferrare il primo dolcetto, si ricordò di cosa aveva fatto subito prima di addormentarsi. Allungò una mano verso la faccia di Roberto e gli infilò tutte le dita in bocca, una dopo l'altra e a gruppi di due.
    "Succhia - gli disse - le dita sono ancora tutte appiccicaticce".

    Edited by Gustibus - 16/4/2024, 00:18
     
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    Questo racconto promette molto bene. Ben narrato e ambientazione intrigante. Il giovane schiavo Roberto avrà da lavorare per servire a dovere i due giovani amici che se lo passano l'un l'altro.
     
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    Molto interessante signore questo articolo.. Sarebbe anche bello se scrivesse un capitolo sul momento iniziale subito dopo l acquisto in cui è passato da uomo libero a schiavo da come è stato addestrato.. Magari all inizio ha fatto qualche capriccio ed il suo proprietario l ha dovuto addestrare a dovere.. Cosa ne pensa signore? Umilmente
     
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    Grandeee re Continua😍😍
     
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    CITAZIONE (Lucamarco @ 5/9/2023, 13:03) 
    Molto interessante signore questo articolo.. Sarebbe anche bello se scrivesse un capitolo sul momento iniziale subito dopo l acquisto in cui è passato da uomo libero a schiavo da come è stato addestrato.. Magari all inizio ha fatto qualche capriccio ed il suo proprietario l ha dovuto addestrare a dovere.. Cosa ne pensa signore? Umilmente

    Sì, anch'io ti chiederei di approfondire l'antefatto, magari con una sorta di flashback nel racconto attraverso la risposta data da Roberto ad una domanda fattagli da Simone o qualche altro padrone che si trova a servire: insomma perché viene da un Paese sconfitto, perché è stato ridotto in schiavitù, come è stato comprato, se è stato addestrato a diventare uno schiavo e come, se condivide la sorte con altri del suo Paese ecc. Naturalmente, se vuoi.

    Edited by luridoleccapiedi - 5/9/2023, 17:24
     
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    Ciao ragazzi. Innanzitutto grazie a tutti per gli apprezzamenti al mio racconto, sono felice che vi stia piacendo e anche che vi stiate interrogando sul mondo distopico in cui è ambientato. Significa che mi leggete con attenzione, e questo mi gratifica.

    In effetti, al di fuori degli eventi che coinvolgono la stretta cerchia dei protagonisti, il contesto risulta ancora molto fumoso. Ma non dovete temere, pian piano l'angolo visuale del lettore abbraccerà sempre più elementi, e vi consentirà di trovare tutte le risposte che cercate. La dinamica della schiavitù, il Paese sconfitto, il background di Roberto saranno argomenti che vi risulteranno tutti più chiari, a tempo debito. Dovete solo aspettare, e magari provare a cogliere qualche indizio nascosto qua e là, fermo restando che ogni suggerimento è gradito.

    Poi mi piacerebbe farvi una proposta. Ho visto che il thread ha già molti accessi ed è probabile che già in molti abbiate letto i primi capitoli. Tra di voi c'è sicuramente qualcuno bravo a disegnare. Ecco, se quel qualcuno avesse voglia, gli chiederei di fare qualche schizzo delle scene che gli sono piaciute di più e di pubblicarlo qui. Sono sicuro che sarebbe molto apprezzato da tutti.

    Infine vi confesso che sono molto divertito dal fatto che alcuni di voi inneggino a vessazioni sempre più crudeli del povero Roberto, nonostante tutto quello che ha già subito. Siete proprio delle persone senza cuore. Non temete, il ragazzo non ha ancora visto nulla. 😉
    Ci vediamo tra qualche ora con il prossimo capitolo
     
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    Capitolo 6 - Mi vuoi bene?

    Roberto, momentaneamente trasformato in un tavolino di lusso, aspirò da quelle dita tutti i rimasugli di sperma secco. Lo fece senza fiatare, con la faccia appoggiata sul letto, tra il muro e la gamba destra di Simone. Poi leccò il palmo, rimuovendo con cura i grumi che si erano prodotti negli incavi tra le dita. Provava un certo disgusto, ma l'idea di disobbedire non lo aveva sfiorato neanche un secondo. Aveva capito che doveva subire e basta. Tanto più che stavolta Simone lo stava utilizzando legittimamente. A un certo punto però il ragazzo gli ficcò in bocca tutte e cinque le dita contemporaneamente. Roberto sulle prime provò a sopportare l'invasione, ma dopo pochi secondi si sentì soffocare e lanciò a Simone uno sguardo di preghiera, tossendo.
    Simone scoppiò a ridere di nuovo. Quello schiavo era spassosissimo, poche cose lo divertivano come la sua sofferenza. Eppure ritirò la mano quasi subito, consentendo a Roberto di riprendere fiato. Gliela strofinò bene tra la faccia e i capelli, per asciugarla, poi si mise a mangiucchiare qualche dolcetto.
    "Allora schiavo, come va? L'ultima volta che ti ho lasciato non mi sembravi molto in forma" disse sghignazzando.
    "Sto bene signore, grazie".
    "Le ferite sono guarite? Mi pare di aver visto che in qualche punto sanguinavi".
    "L-le ferite? Sì, sì signore, sono quasi del tutto guarite".
    "Molto bene, così avrai più spazio per quelle che ti farò oggi"!
    Simone scoppiò a ridere in modo ancora più fragoroso. Roberto non si era fatto illusioni, sapeva a cosa stava andando incontro. Sperava solo che quelle ore durassero il meno possibile.
    "E così mi hai portato anche questa" disse Simone brandendo la frusta.
    "Sì, signore. Per dimostrarti la mia umiltà e devozione".
    Simone avvicinò la frusta al viso dello schiavo e gliela strofinò sulle labbra: "bravo, apprezzo molto la tua umiltà". Poi la risollevò.
    Roberto strizzò gli occhi, in attesa del primo colpo.

    "Facciamo che oggi non la usiamo?"
    Ci volle qualche istante prima che lo schiavo realizzasse ciò che aveva sentito. Ma poi spalancò gli occhi.
    "N-n-non vuoi usarla signore? C-come vuoi, certamente"...
    Simone tolse il vassoio dalla schiena dello schiavo e lo invitò ad accucciarsi sul pavimento, cosa che Roberto fece prontamente, anche perché tenere la posizione da tavolino era a dir poco massacrante.
    "Sai, ho parlato di te col tuo padrone recentemente. Sembra che tu e lui abbiate un buon rapporto".
    Roberto ebbe un sussulto. Dopo tanta sofferenza, il suo cuore si gonfiò di gioia all'idea che, quantomeno, un amico intimo del padrone aveva percepito un feedback positivo su di lui. Forse tutti i suoi sacrifici non erano stati vani. Bisognava solo che Marco dimenticasse in fretta gli eventi di quel giorno, e che lo perdonasse definitivamente.
    Affascinato dalla prospettiva di un futuro migliore, Roberto neanche fece caso che Simone stava cambiando posizione sul letto. Si sedette trasversalmente, poggiando le spalle sul muro, e stese le gambe in direzione dello schiavo. I suoi piedi si vennero a trovare a pochi centimetri dal viso di Roberto, e lo riportarono sulla terra. L'odore pervasivo dei calzini sudici riempì le narici dello schiavo, che tuttavia non si mosse per non offendere Simone. Non ci pensava neanche a sfidare la sorte, ora che le cose sembravano volgere al meglio per lui.
    "Lo so, l'altro giorno ti ho picchiato per il puro gusto di farlo, e capisco che questo possa averti infastidito". Roberto non credeva alle sue orecchie. "Ma adesso è finito il tempo del rancore, dobbiamo diventare amici io e te! Che ne pensi?"
    Lo schiavo era scosso. Gli sembrava di non trovarsi nemmeno di fronte alla stessa persona che lo aveva frustato senza pietà pochi giorni prima. Tranne che per un dettaglio: gli occhi. Quegli occhi castani lo fissavano in modo molto strano, lo stesso con cui lo avevano fissato tre giorni prima. Roberto non si sentiva a suo agio, gli sembravano gli occhi di un folle. Ed erano piantati nei suoi. Rimase in silenzio, sbigottito.
    Simone continuò a fissarlo per qualche istante. Poi fece leva sulle mani, che erano appoggiate al letto, e gli sferrò un potente calcio nello stomaco, togliendogli il fiato per qualche secondo.
    "Ma che fai, non mi rispondi? Sto parlando con te"!
    Lo schiavo, già in ginocchio, si piegò in avanti, tenendosi la pancia: "s-scusa... Scusami, scusami! Ti chiedo perdono"!
    "Perdono accordato. Allora, diventiamo amici"?
    "C-certo! Certo! Siamo amici, signore! Che bello", rispose lo schiavo, rialzandosi sulle ginocchia.
    "Allora mi vuoi bene"?
    "S-se ti voglio bene? Ma certo, certo che te ne voglio! Ti voglio tanto bene, davvero tanto, credimi"!
    "Grande, anche io ti voglio bene"!
    Simone rimase qualche secondo in silenzio, lo sguardo fisso su Roberto, come se stesse aspettando qualcosa. I suoi piedi continuavano a intossicare il giovane da breve distanza col loro olezzo devastante. Poi ruppe gli indugi: "bene schiavo, ora che abbiamo fatto amicizia è il momento di mettersi al lavoro. Mi raccomando, Marco mi ha detto che sei bravissimo con le pulizie, mi aspetto molto".
    "Non ti deluderò signore, te lo prometto"!

    Roberto, rigorosamente in ginocchio o a quattro zampe, si mise di buona lena a riordinare il macello che era quella stanza. Piegò con cura tutti i vestiti sporchi, compresi gli indumenti intimi. Radunò le lattine di birra, nonché i vari piatti e posate. Raccolse uno a uno tutti i fazzoletti sborracchiati.
    Prima di bussare alla porta di quella casa non aveva neppure sperato di poterne uscire praticamente illeso. Simone si stava comportando stranamente bene: certo, gli aveva dato un calcione, ma non l'avrebbe fatto se lui gli avesse risposto tempestivamente. E un paio di volte, mentre alzava l'immondizia da terra, gli aveva perfino elargito delle carezze sulla testa.
    Nonostante tutto questo, lo schiavo non era tranquillo. Innanzitutto si sentiva osservato. Aveva notato più volte che Simone, apparentemente intento a fare altro, in realtà lo scrutava di continuo. In certi momenti aveva gli occhi fissi su di lui, ma li distoglieva quando gli sguardi si incrociavano. Un comportamento molto strano da tenere con uno schiavo, sembrava quasi nascondere un interesse segreto.
    In secondo luogo, aveva visto troppe cose strane in quella casa. A parte l'essere stato accolto dai familiari di Simone poco meglio di quanto avrebbero accolto uno scarafaggio, ciò che lo colpiva maggiormente era proprio il comportamento del ragazzo. Fino a pochi giorni prima sembrava che lo volesse scorticare vivo a frustate. Oggi aveva quasi snobbato la frusta, servitagli su un piatto d'argento, e gli aveva addirittura offerto la sua amicizia, condendola con una pedata in omaggio. E ora continuava a scrutarlo, fingendo di usare il telefono o di leggere un fumetto. Aveva notato che non aveva voltato una pagina per cinque minuti consecutivi.
    Infine, ma questa forse era una sua sensazione, gli sembrava di avere sempre sotto il naso i piedi di Simone. Ovunque si trovasse, loro erano lì con lui. Ad esempio, il giovane aveva deciso di poggiare i piedi sulla scrivania proprio mentre lui era intento a spolverarla. Li aveva dovuti alzare lui stesso, appoggiandoseli con fatica sulla spalla e inalandone ancora più profondamente l'odore perverso, per poter completare la lucidatura di quella superficie.

    Simone non sembrava neanche divertito da queste scene imbarazzanti. Anzi, dava l'impressione di essere sempre più spazientito. Roberto pensò che forse voleva essere lasciato in pace. In effetti era lì da più di due ore e mezza.
    "Non preoccuparti signore, finisco di lucidare il pavimento in cinque minuti e poi ti lascio libero".
    Simone ebbe un sussulto. Si guardò intorno ansiosamente, come se cercasse qualcosa. Vide il vassoio della merenda, e sembrò tirare un sospiro di sollievo. Prese un dolcetto e si pose in piedi a mezzo metro da Roberto, che era in ginocchio sul pavimento.
    "Guarda! Cibo per liberi! Della miglior qualità! Ne vuoi un po', eh"?
    Per un attimo lo schiavo si tranquillizzò: "grazie signore, sei davvero molto buono con me oggi! Non so come ringraziarti! Sei un vero amico"!
    Simone sorrise di rimando e iniziò a sbriciolare il dolcetto sul pavimento, proprio in mezzo ai suoi calzini ingialliti.
    Roberto era sinceramente affamato, e agli schiavi non capitava tutti i giorni di mangiare simili prelibatezze. Si chinò ai piedi di Simone e mangiò ogni singola briciola. Alla fine leccò anche il pavimento per assaporare le più piccole. Sì rialzò in ginocchio davanti al suo nuovo benefattore: "era tutto buonissimo signore, grazie! Ho dimenticato tutto quello che mi hai fatto l'altro giorno, sei un grande amico! Ti voglio davvero bene!"
    Simone lanciò un urlo: "bugiardo! Mi fai schifo, schiavo di mërda"!
    Seguì uno dei più grossi ceffoni che avessero mai tastato la guancia di Roberto.
    Lo schiavo fu sbattuto a terra dal pesante impatto. Rialzò la testa, dolorante, e vide negli occhi di Simone un vero e proprio lampo di follia. Il ragazzo imbracciò la frusta.
    "Ma... Ma perché? Perché all'improvviso"...
    Simone fece roteare la frusta sulla sua testa.
    "Perché, signore? Cosa ho fatto di male? Perché mi vuoi frustare"?
    "Perché sei un bugiardo vigliacco! Hai detto che mi vuoi bene, e invece non è vero"!
    "Signore te lo giuro, è la verità! Io ti voglio bene! Te ne voglio tanto"!
    "E allora perché non mi hai baciato i piedi"?
    "C-cosa"?
    "Hai avuto mille occasioni. Perché non l'hai fatto"?
    "Ma signore, non me l'hai chiesto, come faccio a sapere che"...
    "Bugiardo!", gli rispose Simone, facendo un tiro di esercizio in mezzo alla stanza. Roberto ebbe un sussulto di paura.
    "L'altro giorno ti ho visto, dopo che le hai prese. Sei tornato in stanza e hai dato un bacio sul piede a Marco. E lui non ti aveva ordinato di farlo, o sbaglio"?
    "S-sì, è così, è vero". Roberto si ricordava bene, perché dopo quel bacio Marco gli aveva dato una carezza.
    "Perché glie l'hai dato, se non eri tenuto a farlo? Mi sembra evidente, perché gli vuoi bene"!
    "S-sì"...
    "E allora, se vuoi bene anche a me, perché non mi hai baciato i piedi spontaneamente"?
    Roberto rimase interdetto. Dal punto di vista della logica, quel ragionamento faceva acqua da tutte le parti. Eppure aveva un fondo di verità. Non avrebbe mai baciato di sua spontanea volontà i mefitici piedi di Simone. Mentre trovava perfettamente naturale posare le labbra su quelli del suo amato padroncino. Ma non era il momento di fare introspezione: Simone stava facendo di nuovo roteare la frusta, e sembrava chiaro che stavolta il colpo sarebbe stato per lui.
    "P-p-perché"...
    "Non ti sento! Perché"...?
    Roberto doveva farsi venire un'idea.
    "Perché... Perché... Perché non mi hai dato il permesso signore"!
    "Il... Il permesso"?
    "Sì signore! È la verità, te lo giuro! È da quando sono entrato nella tua stanza che desidero baciarti i piedi in segno di amicizia e sottomissione"!
    Lo schiavo mentiva spudoratamente, niente del genere gli era mai passato per la testa. La menzogna era un grave crimine per quelli come lui, e Roberto lo sapeva bene. Ciò nonostante, l'istinto di sopravvivenza prevalse.
    "Solo che io non ti conosco ancora bene come il mio padrone. Non so se a te faccia piacere o no avermi tra i piedi".
    Simone pareva convincersi.
    "Sai, non ci avevo pensato. Quindi tu stavi semplicemente mostrando rispetto nei miei confronti"?
    "Certo signore! Non lo avrei mai fatto senza il tuo permesso"!
    "E se ti avessi dato il permesso, tu li avresti baciati"?
    "Ma certo signore! Te li avrei baciati, anche leccati se solo avessi saputo che ti faceva piacere! E sarei orgoglioso di farlo, perché sei un vero amico e ti voglio tanto bene".
    "D'accordo, voglio crederti", disse Simone deponendo la frusta, "però voglio anche che adesso mi dimostri tutto il tuo affetto per me".
    Roberto quasi non ci credeva. Era riuscito a sfangare anche questa. Senza farselo ripetere due volte si buttò in ginocchio, sul pavimento, ai piedi di Simone, che intanto si era seduto sul letto. Afferrò le sue estremità e le riempì di ogni genere di attenzione. Iniziò a baciare il dorso, poi passò alle dita. Simone alzò le gambe da terra e si distese sul letto, compiacendosi dell'atteggiamento sottomesso dello schiavo. Non si limitava a farsi venerare. Si divertiva a penetrargli la bocca con più dita possibili, o a ostruirgli tutte le vie respiratorie coi calzini maleodoranti. Un paio di volte lo schiaffeggiò con un piede mentre gli teneva l'altro tra i denti.
    Dopo un po' arrivò allo schiavo un ordine perentorio: bisognava leccare le piante. Fu lì che Roberto iniziò a domandarsi se avesse fatto davvero la scelta giusta. In un paio di minuti sulla sua lingua si depositò il condensato di giorni, forse settimane, di sudore, polvere, sporcizia di ogni tipo. Settimane di lunghe camminate, scalzo o con le scarpe. Di salti, di corse, di ristagno umido.
    "Ahahahah, non credevo che esistesse qualcuno al mondo disposto a fare qualcosa di così disgustoso! Devi volermi davvero bene, schiavo, non è così"?
    "Sì signore", gli rispose Roberto, mentre aspirava un pelucchio rimasto attaccato al tallone, e subito dopo con la lingua assaporava una zona particolarmente ingiallita sull'arco plantare, "ti voglio bene, davvero tanto".
    "Allora toglimi i calzini, e baciami i piedi per davvero".
    Roberto eseguì anche quest'ordine, ma riuscì a baciare ben poco, dopo aver finalmente deposto sul pavimento quei calzini killer. L'iniziativa infatti fu presa sin da subito da Simone: mentre lo schiavo gli stava piegando i calzini, iniziò già ad abusare in tutti i modi possibili della sua faccia e della sua bocca. In particolare gli piacque molto infilare tra le sue labbra tutte e cinque le dita, e farsi rimuovere la sporcizia tra di esse. L'impresa fu molto ardua, perché le incrostazioni tra le dita avevano origini ancora più arcaiche dei calzini. La loro genesi si perdeva ormai nella leggenda. Eppure anche tale impresa fu portata a termine con successo. In più Roberto ebbe cura di leccare ogni singolo centimetro di quei piedi nauseabondi. Simone si divertì un mondo, soprattutto pensando a quanto i suoi piedi puzzassero fino a poco prima. Ne trasse un senso di appagamento, superiorità e anche pulizia: Roberto aveva davvero ingerito ogni singola molecola del suo sudore, e qualsiasi schifezza gli fosse rimasta attaccata sotto i piedi. Era davvero un bravo schiavo.
    "Adesso so che posso fidarmi di te, e che mi vuoi bene".
    "Certo signore", rispose a fatica Roberto, con la lingua ormai esausta ancora intenta a rinfrescare una pianta e il naso bloccato tra tra un alluce e un altro dito del piede.
    Simone volle concedersi un ultimo paio di sfondamenti nella bocca dello schiavo. Voleva riprovare ancora quella piacevole sensazione di risucchio delle dita, insieme al non minore piacere di guardare la sua vittima soffocare. Lo fece schiacciandogli la guancia sul letto con l'altro piede. Poi finalmente, soddisfatto, ritrasse i piedi dal suo viso, e sembrò volergli dare tregua. Li esaminò con cura, alla ricerca di qualche incrostazione di sporco, ma nulla, il piccolo leccapiedi aveva aspirato via proprio tutto.
    Roberto era stremato. Stavolta aveva davvero fatto l'impossibile, non voleva che ci si potesse lamentare di un lavoro approssimativo da parte sua. Aveva sul serio mandato giù lo schifo dello schifo. Mentre Simone si esaminava le piante, lui si accucciò a quattro zampe.
    Simone, come se fosse stata la cosa più normale del mondo e del tutto incurante dell'evidente stanchezza dello schiavo, ci si sedette sopra, brandendo il collare. "Dai, portami tu in cucina, così non mi sporco di nuovo i piedi. Voglio far vedere alla mia famiglia che bel lavoro che hai fatto. E poi devi fare amicizia anche con loro".

    Edited by Gustibus - 16/4/2024, 00:20
     
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    SCHIAVO LECCAPIEDI

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    Storia sempre più bella e attenta anche a curare la psicologia dei personaggi. Particolarmente gradito il momento in cui Simone, cambiando subitaneamente approccio con Roberto, pretende da lui una prova dell'amicizia che questo gli aveva poco prima dichiarata e lo fa con l'impareggiabile padronanza di spirito di chi sa di avere ogni pieno diritto e potere sul povero schiavo: magnifico quel suo roteare la frusta in segno di minaccia, come a ricordare all'altro che lui può usare in ogni momento quello strumento per punirlo. In fondo però anche Simone, forse, non ha solo bisogno di uno schiavo che si prenda cura di lui, ma di un coetaneo che gli mostri affetto e sottomissione assoluta, di un amico sottomesso che sappia volergli bene e riempire la sua solitudibe affettiva. Bravo allora Roberto a mettersi nuovamente in gioco e ad accettare - certo per evitare una nuova sessione di frustate - di ampliare i propri limiti come schiavo, facendosi umile leccapiedi delle sporcizie annidate da troppo tempo tra le dita del suo giovane padrone, progredendo nel suo personale percorso di degradazione. Un grande plauso al Narratore.
     
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    Capitolo 7 - Due amici

    L'ora era tarda e il locale iniziava a svuotarsi, complice l'avvicinarsi dell'orario di chiusura. Simone, seduto a un tavolino del bar di fronte, che ancora sfornava cornetti, osservava una dopo l'altra le persone che abbandonavano la discoteca. C'erano coppie di fidanzatini, felici di aver passato una serata allegra, e coppie di nuova formazione, avvolte dal fuoco della passione, speranzose di dare un seguito carnale al loro felice incontro. C'erano gruppetti di amiche e di amici, divertiti ma esausti, che raggiungevano le loro auto o i taxi, spesso trascinando a fatica un membro della compagnia che aveva esagerato con l'alcol. C'erano i più soddisfatti e i più mogi, i più lieti e i più abbattuti, ma tutti avevano qualcuno con cui tornare, su cui contare, qualcuno che ridesse alle proprie battute, che ascoltasse le proprie storie. Tutti tranne lui. Lui non aveva nessuno.
    O meglio sì, aveva Marco. Ma dalla sua posizione riusciva a vederlo: era sempre lì, nel vicoletto, avvinghiato alla tipa con cui ci aveva provato nel locale, senza incontrare alcuna resistenza. I due, appoggiati al muro, stavano limonando furiosamente.
    "Allora che fai Martina, ci vieni da me? Casa mia è qui vicino".
    "Non... Lo so... Non posso...", rispose farfugliando la ragazza, mentre con la mano accarezzava i genitali di lui.
    "Lo vuoi? Vienitelo a prendere"!
    "No, non posso", fece la ragazza, districandosi dalla presa, come ad autoimporsi un momento di razionalità. "Tu mi piaci moltissimo ma io stanotte devo tornare a casa. Sono già le 2"!
    "Quando ci rivediamo? Io voglio farlo con te".
    "Anch'io! Vediamoci domani sera alle 9 in piazza, ci mangiamo una cosa assieme, che ne pensi"?
    Finalmente Simone notò in lontananza che i due si stavano separando. Era felice per la conquista dell' amico, ma era stanco e provato da quella serata, e voleva solo tornare a casa, farsi una sega e addormentarsi. Fu sollevato quando vide Marco salutare la ragazza con un bacio e una strizzata di culo. Il giovane si avvicinò al suo tavolino e si mise a sedere, facendo cadere la testa all'indietro, con un sorriso stanco ma soddisfatto.

    "Che hai fatto tutto questo tempo"?
    "Mah, niente, sono stato qui. Ho preso un cornetto".
    "E la ragazza con cui sei scomparso a un certo punto"?
    "Ci ho provato, ma mi è andata male anche questa. All'interno sembrava interessata, ma poi quando siamo usciti a parlare ha perso interesse e mi ha scaricato".
    "Mi dispiace".
    "Non ti preoccupare, ci ho fatto l'abitudine".
    Marco lo guardò stranito: "l'abitudine? E a cosa"?
    Poi gli tirò uno scappellotto dietro la testa.
    "Ma non dire cazzate! Che fai ora, la parte del derelitto? Hai avuto dei flirt anche recenti se non mi sbaglio".
    "Sì, ma è sempre la stessa storia. Non riesco a costruire nulla di stabile. Riesco anche a fare una buona prima impressione, ma appena le persone mi conoscono un po' meglio..."
    Simone fece una pausa e abbassò lo sguardo.
    "...Mi evitano".
    Provò a contenersi, ma assieme a quelle ultime due parole gli uscì un piccolo singhiozzo. Fece una di quelle tipiche smorfie utili a trattenere il pianto.
    Marco si alzò quasi istantaneamente, si mise in piedi dietro la sedia dell'amico, e lo abbracciò forte, mettendogli la testa sopra una spalla.
    "Ma cosa dici? E io allora? Sono anni che ti sto sempre tra i cogliöni. Io non conto niente"?
    Simone non si trattenne più, e scoppiò a piangere.
    "Tu sei l'unico vero amico che ho. Non so neanche perché mi frequenti. Io sono Attila, distruggo tutto quello che tocco".
    "Perché sono tuo amico, e ti voglio bene". Marco stringeva sempre più forte. Aveva capito il momento di debolezza di Simone, lo conosceva bene e sapeva che quello che diceva non era del tutto campato in aria, ma per nessuna ragione al mondo l'avrebbe fatto tornare a casa in quello stato.
    "Prima o poi anche tu mi abbandonerai. Mio padre mi ignora, le ragazze mi disprezzano, i professori hanno paura di me. Persino il tuo schiavo adesso mi odia".
    "Ti odia? Per le frustate intendi"?
    "Sì, certo, per le frustate, ma non solo. L'ho anche riempito di calci quando l'ho cavalcato. Dal primo momento in cui l'ho visto il mio unico pensiero è stato quello di provocargli sofferenza. E ora lui giustamente mi odia".
    "Beh, in effetti potevi controllarti, io te l'ho anche fatto notare".
    "Non ce l'ho fatta, è stato più forte di me. Ero come in trance".
    Marco tornò a sedere e prese a fissare in silenzio Simone, che intanto si asciugava il viso. Un po' era felice che l'amico stesse facendo autocritica. La presa di coscienza dei propri errori gli sembrava un ottimo inizio per intraprendere un percorso di miglioramento.
    "Ascoltami Simone, io non posso obbligare tuo padre a considerarti, o la ragazza di stasera a tornare da te. Però Roberto sì, lui deve fare tutto quello che voglio".
    Simone ascoltava in silenzio, a testa bassa.
    "Facciamo così: tu mi avevi detto che ti serviva per pulire la stanza. Domani pomeriggio lo manderò a casa tua, e gli dimostrerai che non sei una persona cattiva. Mostragli affetto, fagli capire che potete essere amici, e vedrai che si ricrederà sul tuo conto. Lui è un bravo schiavo, farebbe di tutto per il suo padrone. Se lo tratti bene vedrai che diventerà fedele e premuroso anche con te. E tu dimostrerai a te stesso che non sei il mostro di cui parli".
    Simone accennò un sorriso con gli occhi ancora arrossati.
    "Lui... Lui ti vuole molto bene, vero"?
    "A me sembra proprio di sì. Si fa in quattro per me, esegue ogni ordine nel migliore dei modi possibili, e lo fa con gioia. Sembra che la mia felicità sia l'unica cosa che lo interessi".
    Simone fece una smorfia di rassegnazione.
    "Parli così perché a te viene tutto naturale. Tutti sono portati a volerti bene. Sei davvero fortunato, con me non sarebbe mai così".
    "Perché no? Devi solo comportarti come me. Io lo punisco solo quando serve, lui sa che da me non deve aspettarsi del male gratuito, che anzi lo premio quando lavora bene, e reagisce di conseguenza. Pensa che dopo che l'ho difeso da te è anche venuto a baciarmi i piedi".
    "Ho visto. Non gliel'avevi chiesto tu"?
    "No, lo ha fatto spontaneamente, per darmi un segno d'affetto. Evidentemente mi vuole davvero bene".

    Edited by Gustibus - 16/4/2024, 00:22
     
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    Capitolo 8 - Un caloroso saluto

    La mamma e il fratello di Simone si trovavano in cucina e sorseggiavano un caffè. Lei era in piedi, lui seduto al tavolo da pranzo. Erano molto incuriositi da quello che poteva succedere nella stanza del ragazzo. Avevano udito chiaramente delle urla, seguite da un colpo di frusta. Poi il nulla per molto tempo. A un certo punto videro la porta in fondo al corridoio aprirsi.
    Ne uscì Roberto, a quattro zampe, con la sua semplice divisa da schiavo: una t-shirt bianca e una specie di mutandone formato da fasce nere di tessuto luccicante. Teneva la testa bassa, ma il suo viso si intravedeva abbastanza bene anche da lontano, e urlava la sua stanchezza. Il ragazzo era a pezzi, distrutto nel fisico e nello spirito.
    Seduto sulla sua schiena, Simone troneggiava con un'espressione fiera e soddisfatta. Stringeva il collare dello schiavo nella mano sinistra e brandiva la frusta con la destra. Le piante dei suoi piedi nudi aderivano perfettamente alle cosce dello schiavo, consentendogli di tenersi bene in equilibrio. Durante il breve percorso gli assestò qualche buona tallonata, quando vedeva che sbandava o rallentava. Ma non erano più i calcioni punitivi che tre giorni prima gli aveva inferto per domarlo e piegarlo alla sua volontà. Stavolta si trattava di gesti estremamente naturali, compiuti con la sicurezza del cavaliere che sa di avere sotto di sé un animale fedele e sottomesso, e che pertanto si limita, attraverso di essi, a meglio guidare la sua cavalcatura. Cionondimeno a Roberto quei calcetti facevano un male cane, perché insistevano sulla stessa zona dove erano arrivati quelli, molto più potenti, di tre giorni prima, e sui lividi che avevano provocato.
    Finalmente i due arrivarono in cucina.
    "Ciao mamma. Ciao Filippo. Non avete idea di quanto sia comodo questo schiavo".
    Roberto alzò leggermente la testa, per osservare le reazioni della famiglia. La madre lo scrutava con un'aria di sovrano disprezzo, mentre il ragazzo, seduto su una sedia, ostentava un sorrisetto beffardo.
    "Siamo diventati amici, sapete? Ora lui non solo fa tutto quello che voglio, ma mi vuole anche molto bene. Non è vero, schiavo"?
    Roberto tirò un sospiro, come a prepararsi stancamente per la battuta successiva di una messinscena.
    "Sì signori, è proprio così, ve l'assicuro. Io voglio bene a Simone perché lui è buono e gentile con me. Mi tratta come un amico, posso fidarmi di lui. Oggi mi ha anche dato un dolcetto".
    Udita questa frase, la madre e il fratello lanciarono all'unisono uno sguardo di rimprovero verso Simone. Questi, colto in fallo, bofonchiò qualcosa di poco convincente, e per far pervenire allo schiavo il messaggio che aveva parlato troppo, gli piantò nuovamente il tallone nelle carni, stavolta in modo più violento. Roberto fece una smorfia di dolore. Questa l'aveva sentita.

    Simone, dritto e saldo sul fondoschiena dello schiavo, sollevò il piede destro dalla sua coscia, e stese la gamba sul suo corpo martoriato, di modo che la sua caviglia poggiasse sulla spalla di Roberto. Iniziò ad agitare il piede a poca distanza dalla sua faccia: "guardate che meraviglia. Erano settimane che non mi lavavo i piedi e non cambiavo i calzini".
    "Fai veramente schifo" gli rispose Filippo. Simone fece finta di non sentire.
    "E guardate ora, sono perfettamente puliti, sembrano usciti da un bagno caldo. Li ha leccati fino a far scomparire ogni traccia di sporco".
    I familiari di Simone osservarono il piede. In effetti era pulitissimo. Nessun rimprovero poteva essere mosso, quindi rimasero in silenzio.
    Simone si aspettava una reazione più partecipata. Non credeva che la sua famiglia sarebbe rimasta quasi indifferente di fronte alla sua nuova amicizia. Rilanciò.
    "Allora schiavo, perché non fai vedere a mia mamma come mi vuoi bene"?
    Roberto ormai faceva meccanicamente tutto quello che gli veniva detto, consapevole che subire in silenzio ogni umiliazione era la strada migliore per porvi fine il prima possibile. Girò lievemente la testa verso destra, e per l'ennesima volta posò le labbra sul piede di Simone, baciandolo ripetutamente.
    "Bravo, bravo schiavo", disse Simone, dandogli una pacca sul sedere e poi ritraendo il piede, "adesso però voglio che fai amicizia anche con la mia famiglia".
    Roberto si avvicinò faticosamente alla mamma di Simone, quella che lo aveva definito un verme e un parassita, e che aveva auspicato per lui pene severissime. Andò con la faccia fino a terra, nonostante il peso che portava sulle spalle, e le stampò due baci per ogni piede nudo. La donna neanche si mosse, e continuò a fissarlo disgustata.
    Roberto si rivolse quindi a Filippo, il fratello di Simone, che era seduto sulla sedia con in mano una tazzina di caffè, e che neanche tre ore prima, incrociandolo nel corridoio, gli aveva sputato in faccia. Fece per andare giù, ma il ragazzo lo precedette. Alzò il piede destro, che calzava un mocassino marrone, e sorridendo lo piazzò con la suola a pochi centimetri dal volto del povero schiavo.
    "Lecca".
    Roberto si sentì annientato. Quel giorno non gli veniva risparmiato davvero nulla. Tirò fuori la lingua e, per alcuni interminabili secondi, percorse tutta la suola del mocassino, buttando giù la polvere e la sporcizia. Poi fece un paio di colpi di tosse.
    Filippo guardò il fratello: "bravo, lo hai addomesticato proprio bene. Magari qualche volta potresti prestarmelo, mi sarebbe molto utile per alcune conferenze".
    "Sai bene che non è mio, ma di Marco. È a lui che devi chiedere. Ma fosse per me, non te lo darei neanche se mi pagassi".
    "E perché?"
    "Perché tu e i tuoi nuovi amici siete un gruppo di stronzi, e non lo meritate. Fottiti".
    "Vedremo"!
    Filippo si alzò dalla sedia visibilmente irritato e si avviò verso la sua stanza, ma prima volle sfogare la sua frustrazione salendo con un piede sulla mano destra di Roberto, evidentemente con l'intenzione di fargli male. Lo schiavo osservò il dorso della sua mano, che aveva stampata su di sé l'orma della suola che aveva appena leccato. Non ne poteva più.
    Per fortuna ormai Filippo se n'era andato, e anche la mamma aveva perso interesse per quell'incontro, se mai ne aveva avuto. Si voltò e tornò a svolgere le sue faccende.

    Finalmente Simone scese dalla sua cavalcatura. Diede a Roberto un altro schiaffetto sul sedere: "seguimi".
    Si diresse verso la porta d'ingresso, aprendola e facendo strada allo schiavo. Questi attraversò l'uscio con lo stesso spirito del maratoneta che, dopo chilometri e chilometri di fatica, vede finalmente la linea del traguardo. Poi si girò verso Simone, ormai con la lingua penzoloni: "signore grazie della tua ospitalità, è stato un piacere servirti. Sono sempre a tua disposizione".
    Simone lo guardò soddisfatto. Quel giorno aveva ottenuto esattamente tutto quello che voleva. Poggiò il piede destro scalzo sullo zerbino di casa: "voglio un saluto più affettuoso".
    Roberto capì. Si abbassò nuovamente con la testa sul pavimento e fece per avvicinare le labbra al piede. Ma proprio quando stava per toccarlo, Simone compì un brusco movimento e glielo infilò in bocca. Roberto sentì di nuovo le dita, dal sapore ormai noto, muoversi libere nella sua cavità orale. Riusciva a contarle con la lingua: una, due, tre, quattro... Ma Simone continuò a spingere, e mise dentro anche la quinta.
    Lo schiavo era stremato. Aveva la faccia sullo zerbino, un piede in bocca e l'orgoglio sotto terra. Inoltre, nonostante stesse per soffocare, notava che Simone non aveva intenzione di fermarsi. Continuava a premere, nel tentativo di violare le leggi della fisica. A un certo punto nell'aria risuonò un "plop".
    Ce l'aveva fatta, era riuscito a infilare nella bocca dello schiavo tutto l'avampiede. Guardando dall'alto in basso la scena, si compiaceva di notare il rigonfiamento delle guance della sua vittima, e fu molto divertito quando osservò che una delle due si muoveva in sincrono con il suo alluce, se lo strusciava contro la parete interna. Gli aveva calzato la faccia come una ciabatta.
    Finalmente concesse tregua allo schiavo, e tirò fuori il piede. Come fosse la cosa più normale del mondo, glielo asciugò tra la maglietta e i capelli. Quindi congedò Roberto con una carezza, non prima di avergli impartito un altro ordine: "purtroppo per te le tue fatiche oggi non sono ancora finite, schiavo. Il tuo padrone ti fa sapere che devi preparare bene la sua stanza, perché forse stasera tornerà a casa con una ragazza".
     
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    Eri partito bene, ma ora ti stai imborghesendo 😂😂😂😂
     
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