Torneo del Racconto 2020 - I Racconti - I risultati!
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  • Il bullo
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  • Piedi universitari e bromance
    24.47%
    23
  • Lo spogliatoio
    24.47%
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  • Fidanzato padrone
    23.40%
    22
  • Vivo
    21.28%
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  • Domande
    18.09%
    17
  • Lo studente e il portinaio
    18.09%
    17
  • Di nuovo ai piedi di Davide
    18.09%
    17
  • Una mattina in metropolitana
    17.02%
    16
  • Una tranquilla serata tra amici
    12.77%
    12
  • Osceno ritratto
    11.70%
    11
  • La tribù dei piedi gustosi
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Torneo del Racconto 2020 - I Racconti - I risultati!

I risultati del torneo del racconto

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    Torneo concluso, clicca qui per i risultati

    Vota fino a 3 racconti che vuoi far VINCERE!

    I racconti li trovi in fila in questa discussione qui sotto. Vota quello che ti è piaciuto di più! Puoi votare fino a 3 racconti.
    La votazione rimarrà aperta per 2 settimane, indicativamente fino al 29 maggio.
    Se vuoi rendere pubblico il tuo voto o semplicemente condividere un tuo pensiero, sentiti libero di lasciare un commento in questa discussione.

    I racconti

    Fidanzato Padrone
    Il bullo
    Vivo
    Una tranquilla serata tra amici
    Una mattina in metropolitana
    Domande
    Lo studente e il portinaio
    Osceno ritratto
    Piedi universitari e bromance
    La tribù dei piedi gustosi
    Di nuovo ai piedi di Davide
    Lo spogliatoio

    Edited by Bruco234 - 31/5/2020, 15:27
     
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    Fidanzato Padrone


    Michael entra in casa e non c’è Simone ad accoglierlo, comincia a cercarlo per tutta la casa finché sente provenire delle voci dallo studio, spalanca la porta e guarda Simone con occhi di ghiaccio.
    Simone si fa minuscolo e continua la conference. Michael non dirà nulla, sa che tutto quello che ha lo deve all’azienda di Simone e quindi lo lascia continuare.

    Michael rimane in piedi appoggiato alla porta dello studio, indossa una t-shirt blu della boxeur attillata che fa risaltare il suo possente petto, un paio di jeans con il risvolto e ai piedi delle stan bianche e verdi che fanno intravedere un fantasmino nero.
    La chiamata dura altri 20 minuti, sotto lo sguardo severo di Michael, Simone cerca di non distrarsi anche se è impossibile, anche perché sa cosa gli aspetta.

    Finalmente finisce la conference e Simone congeda gli interlocutori spagnoli e il direttore commerciale, dandogli appuntamento alla prossima settimana in ufficio.
    Da disposizioni di fissare un appuntamento con la sua segretaria.
    Appena spento il computer, Simone si fionda ai piedi di Michael baciando le scarpe e implorando di perdonarlo.

    Michael è molto arrabbiato lo fissa con i suoi occhi verde ghiaccio. Simone non riesce a reggere lo sguardo e rimane chino sulle scarpe che continua a baciare.
    Michael prende la cravatta e trascina Simone a quattro zampe, sempre nel più rigoroso silenzio verso la grande stanza che conteneva la piscina.
    Appena arrivano, Michael si accomoda su una delle numerose sdraio, che spesso venivano usate dagli amici della coppia durante le numerose feste che facevano, mentre Simone sa che non può avere l’onore di usarle quando sono solo loro due.
    Simone rimane a gattoni accanto alla sdraio del suo compagno, in attesa di ricevere ordini.
    “vai a prendermi una birra”

    Simone corre verso l’angolo bar della piscina, cercando di fare il prima possibile. Arriva al prezioso banco in radica, apre il frigorifero e prende la birra richiesta, la stappa e la versa in un bicchiere, tornando con in mano un vassoio con sopra la birra. Torna alla sdraio e si inginocchia accanto a Michael con in mano il vassoio. Michael sta leggendo i vari messaggi che gli sono arrivati ignorando completamente Simone. Ogni tanto prende un sorso di birra e riappoggia il bicchiere sul vassoio come se nulla fosse. Simone deve stare in silenzio e immobile. Quando la birra finisce, Simone può appoggiare il vassoio a terra e restare in ginocchio. Finalmente Michael gli parla e gli chiede il perché non lo ha avvisato della conference call, lui si aspettava di trovarlo in ginocchio accanto alla porta ad accoglierlo ma così non è stato. Prima che Simone potesse parlare, gli arriva un sonoro ceffone in faccia che lo fa cadere a terra. “alzati che non ho finito”, Simone a fatica si rialza, la febbre sta tornando ed è anche stanco, ma sa di non avere scuse. Gli arriva un altro ceffone e questa volta riesce a mantenere l’equilibrio.

    Con un filo di voce scandisce delle parole di scuse nei confronti del suo padrone compagno, dicendogli che non stava molto bene e che si era dimenticato di questa conference call. Michael gli accarezza la testa come fosse un cagnolino e gli ordina di prendere due pizze, una margherita e una diavola per la cena e poi di raggiungerlo sul divano in soggiorno.
    Simone recupera il telefono in bagno, e tramite l’app della pizzeria ordina la cena, arriveranno per le 20:00, tra un’ora.
    Dopo aver ordinato la cena, Simone raggiunge Michael sul divano e si mette a gattoni davanti a lui per far si che il suo compagno possa usarlo come poggiapiedi mentre guarda un po’ di tv.

    Michael intanto che guarda un episodio di CSI MIAMI, si guarda intorno e pensa alla fortuna che ha avuto ad innamorarsi di Simone.
    “Hey tu, toglimi le scarpe e massaggiami i piedi” Simone delicatamente cerca di muoversi prendendo in mano le gambe del suo padrone e sedendosi si porta i piedi in grembo. Alza prima una gamba e bacia la suola impolverata della stan e ringrazia per l’onore. Sfila delicatamente la scarpa e si porta il piede avvolto nel fantasmino nero verso la faccia. Inspira il profumo intenso del suo padrone e inizia a massaggiare delicatamente quella meraviglia.

    Michael appoggia l’altro piede sulla spalla del suo schiavo e si gode il massaggio.
    Simone prende l'iniziativa e sfila con i denti quel calzino che lo separa dal suo oggetto del desiderio. finalmente ha davanti la perfezione del piede di Michael, dita perfette, unghie curate, del resto la sera prima gli aveva fatto una minuziosa pedicure. Simone affonda la faccia su quel piede e lo riempie di baci e inizia a leccarlo dal tallone alle dita, succhia con avidità ogni singolo dito mentre Michael mugugna di piacere.
    Ora l'altro piede, ordina perentorio Michael, lo schiavo inizia a dedicarsi con devozione al piede stanco che è ancora nella scarpa. finché arrivano le pizze e Simone appoggia delicatamente i piedi a terra per andare ad aprire al fattorino. Simone scopre che in realtà è il loro amico Peter con in mano due pizze.

    Questo racconto fa parte del Torneo del Racconto. Un racconto al giorno fino al 13 maggio, dopodiché si apriranno le VOTAZIONI dove tutti potranno votare il racconto che preferiscono! Gli autori dei racconti resteranno ANONIMI fino alla fine del gioco!
     
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    Il bullo


    Ero tornato dall’Erasmus molto cambiato. Un anno a Londra mi aveva aperto la mente, ma era soprattutto il mio corpo sul quale avevo lavorato. Alto lo ero già, 185 cm, e dotato di un enorme pisello, grazie alla natura. Ma un anno di box e Spartan mi avevano modellato il fisico. Dimagrito e scolpito, braccia e gambe potenti.
    Il mio corpo corrispondeva ora alla mia mente: ero un giovane uomo che poteva prendere quello che voleva.

    Tornato al campus non ci volle molto per imbattermi nuovamente in Paolo e i suoi simpatici amichetti. Lo stronzetto mi aveva perseguitato i due anni precedenti, con prese in giro per il mio peso e i miei modi timidi, con una cattiveria e perseveranza che mi facevano ribollire il sangue. Ma non ero mai stato capace di reagire. Ora se ne stava lì a bocca aperta e non aveva più il coraggio di dirmi niente. Nello spogliatoio sentivo i suoi occhi addosso mentre mi spogliavo per fare la doccia dopo la ginnastica. Me ne andai sotto l’acqua camminando nudo, cosa che prima non facevo mai. Senza più paura delle risatine di sottofondo ma sentendo l’ammirazione dei coglioncelli che si stavano rivestendo.

    Uscito dalla doccia, parecchio lunga e rilassante, vidi che nello spogliatoio non c’era più nessuno. Girata l’ultima panca dove avevo lasciato le mie cose, trovai Paolo solo, e quello che vidi mi lasciò a bocca aperta. Era in ginocchio, e non mi aveva sentito arrivare, troppo preso a fare quello che non avrei mai creduto. La faccia era immersa nelle mie air force. Porto il 47 quindi la sua faccia entrava nella scarpa bene e sentivo da dietro alle sue spalle il respiro che inalava forte. Sulla panca stavano i miei calzini sudati e sporchi e i miei slip usati. Evidentemente li aveva tirati fuori dalla mia sacca e si era annusato pure quelli, il maiale. Ero rimasto in silenzio e lo guardavo mentre lo stupore lasciava il posto alla consapevolezza: mi perseguitava perché è un bullo ma ora che mi vedeva nella mia nuova versione aveva il desiderio di essere messo sotto. O forse era sempre stato quello il suo desiderio? Tirai fuori il cellulare dalla giacca appesa e accesi la videocamera sulla scena. Solo un minuto ancora e finalmente Paolo si staccò. Girandosi mi vide, fece una specie di salto con un’espressione terrorizzata, scivolò sul pavimento bagnato e cadde giù con la mia scarpa ancora in mano. Spensi il video e lo guardai.

    Mi aspettavo che Paolo balbettasse parole di scusa ma invece tentò la strada della solita aggressività:
    “Che cazzo ti credi di fare adesso?”
    Il sangue mi ribolliva nelle vene. Si stava rialzando. Mi avvicinai e con un piede nelle adilette lo rimisi giù a terra. Mi guardava allibito. Avvicinai la mia faccia alla sua. Quindi la annusai.
    “Lo sai che la tua faccia puzza dei miei piedi ora? Sei felice?”
    “Alessandro, ti prego non fare cazzate? Che vuoi fare con quel video?”
    “Oh niente Paolo, non sarà necessario perché ora tu farai sempre esattamente quello che io voglio, non è vero?”
    “Non so cosa tu abbia in mente ma non penso proprio”.
    Neanche gli risposi. Mi tolsi l’asciugamano che portavo in vita e rimasi nudo, il mio pisellone a riposo era a pochi cm dalla sua faccia e Paolo non riuscì ad impedirsi di guardarlo. Quello che non riusciva a impedire inoltre era la sua erezione chiara ed evidente nella sua tuta.
    “Paolo, da ora in poi il tuo nome sarà schiavo, e il mio quale sarà?”.
    “Pa-padrone?” balbettò.
    “Esatto e non farmi arrabbiare mai, o quel video lo pubblico su tutti i social esistenti, è chiaro?”
    “Si padrone”. Si era ormai arreso.
    “ mettiti a 4 zampe ora e baciami i piedi”.
    Con mia stessa meraviglia esegui l’ordine e cominciò a baciarmi i piedi.
    “Ora leccali schiavo avanti”.
    Sentivo la sua lingua leggera scorrere sui dorsi. All’inizio era timida e impaurita. Forse era schifato? Magari aveva paura della mia minaccia. Mi sentii una merda. Nonostante quello che mi aveva fatto passare io non ero come lui. Sapevo bene che non avrei mai pubblicato quel video. Stavo per fermarlo quando sentii la sua lingua farsi più decisa. Me li stava bagnando di saliva e leccava sempre più forte. No era felice di leccarmi i piedi, era arrapatissimo. Del resto, poco prima lo avevo trovato a sniffarmi le scarpe puzzolenti. Vidi le calze e i miei slip ancora sulla panca. Con il piede gli feci alzare la testa. E mentre la alzava continuava a leccarli, era ormai partito di testa. Gli infilai un calzino sudato nella bocca. Tentò una resistenza, del resto il calzino era veramente appestante.
    “Meglio che ti abitui all’odore e al sapore dei miei piedi, visto che non sarai così fortunato da leccarmeli sempre dopo la doccia”.

    Mi guardava con la bocca piena, quella bocca da cui uscivano insulti ora riusciva appena a mugolare. Mi venne da ridere. Per completare l’opera gli misi i miei slip in faccia. Il grand’uomo era ormai ridotto a vivere tra i miei odori. Mi rivestii con calma lasciandolo così, in ginocchio. Andando via gli dissi:
    “Non ti preoccupare schiavo, mi ridarai la mia biancheria la prossima volta, per ora puoi tenerla”.
    Aveva una bella macchia che si allargava sulla sua tuta: era venuto senza toccarsi nelle mutande.


    Questo racconto fa parte del Torneo del Racconto. Un racconto al giorno fino al 13 maggio, dopodiché si apriranno le VOTAZIONI dove tutti potranno votare il racconto che preferiscono! Gli autori dei racconti resteranno ANONIMI fino alla fine del gioco!
     
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    Vivo


    “Ciao Davide, indovina un po’? I miei domani vanno al mare per una settimana…Questo vuol dire che ho casa libera.” Neanche il tempo di dirlo che già avevo prenotato i biglietti.
    Stazione di Roma Termini: è Ferragosto quando arrivo nella capitale. Mi chiamo Davide e ho 25 anni. Ad aspettarmi c’è Valerio, un ragazzo romano di 19 anni (ma di origine siciliana). Com’è Valerio? Ogni tanto lo prendo in giro e lo chiamo “normanno”, perché forse lo è per davvero, chissà. È Biondo, alto 1.80, con la barba e il pelo dorati e gli occhi azzurri. Il contrario di me che, essendo napoletano, ho tratti decisamente più arabeggianti, con la pelle olivastra, la barba folta e gli occhi neri.

    Ci siamo conosciuti qualche settimana fa in una serata a Roma tra amici, durante una passeggiata in gruppo per le vie di San Lorenzo ma non pensavo potessi interessargli, mi dicevo che era troppo figo. Invece quella sera, tornando a casa, ho visto un messaggio sul cellulare: era Valerio. “Ehi ciao Davide, come va? Volevo dirti che sei molto carino”. Non potendo nascondere la sorpresa, gli ho detto che anche lui mi piaceva molto e al più presto mi sarei organizzato per ritornare a Roma.

    Il giorno dopo io sono tornato a Napoli e lui è partito per una gita in montagna con gli scout, ma il “carteggio virtuale” è continuato anche a distanza. Una sera, Valerio era in tenda con i suoi compagni di avventure e mi ha detto di essere molto stanco. Fuori c’era la Luna piena, il bosco era silenzioso e tutti gli altri dormivano. Tra una parola e l’altra, inevitabilmente siamo finiti a parlare di cose decisamente più “carnali” ed è venuta fuori la mia passione per i piedi. Quasi avevo paura che potesse giudicarmi male, invece si è incuriosito e mi ha chiesto i particolari, essendo alle prime armi e avendo poche esperienze alle spalle. Sarà stato l’orario, ma a un certo punto gli ho detto “Valerio, ma se ti chiedessi una foto dei tuoi piedi?” e lui: “Ma certo, anzi, stavo per mandartela io!” E così me li ha mostrati: erano i piedi più belli che avessi mai visto. Un bel 43, con le unghie corte e curate, le dita lunghe e affusolate, contornate da pelo biondo. Non capivo più nulla. Mi ha chiesto ingenuamente: “Ti piacciono?” e io: “Valerio, sono bellissimi”. Quella sera, molto romanticamente, ho perso due diottrie. Il giorno dopo mi sono svegliato e ho letto questo messaggio “Buondì Davide… Da quando ieri sera mi hai detto della tua passione non ho fatto altro che pensarci. Mi eccita di brutto” Gli ho risposto: “Beh, sai che dicendo così prendi ancora più punti? Dobbiamo rivederci al più presto!”

    Ma torniamo al presente. Sono qui a Termini, il treno sta per fermarsi e già vedo Valerio sulla banchina che mi guarda sorridente. Ci salutiamo e andiamo subito a casa sua a posare le mie cose. Giusto il tempo di sistemarci e mi propone di uscire. “Dove andiamo?” Gli chiedo. “Ti faccio vedere il laghetto dell’ EUR che è vicino casa” mi dice, così andiamo. Il cielo è terso, le persone attorno a noi sono sdraiate sul prato. Ci stendiamo anche noi. Lo guardo di continuo, specialmente quando non mi vede, e ogni tanto lo sguardo cade sulle sue Vans nere, mentre la mente fa mille fantasie su cosa ci aspetterà.

    Torniamo a casa e, appena chiude la porta, lo bacio intensamente: da quanto tempo aspettavamo questo momento. Travolti dal desiderio, cominciamo a spogliarci a vicenda; le lingue, sempre intrecciate, non perdono mai il contatto, bacia da Dio. Ci buttiamo sul letto e gli dico: "Adesso ti faccio vedere io, tu devi solo rilassarti"."Non aspettavo altro", mi risponde. Mi metto ai piedi del letto, lui è steso e mi guarda estasiato mentre gli sfilo le Vans e scopro i suoi piedi coperti da calzini neri e corti: li sento tra le mani che sono sudati e hanno bisogno di attenzioni. Li tolgo lentamente, scoprendo prima un piede e poi l’altro e porto i calzini al naso. Il birbante aveva seguito le mie indicazioni di tenerli su per 3 giorni…E l’effetto si sentiva, eccome. Comincio a massaggiare i piedi nudi e ammiro la forma, quasi prepotente, della pianta. Li bacio, per sentire con le labbra le dita perfette e contornate di pelo. Poi arriva quel momento: mi chino, metto il naso tra le dita e annuso profondamente. Il Paradiso. Sento il suo odore; l’odore di un diciannovenne, non eccessivo ma ben presente e arrapante, mi piace da morire. Da lì comincio a leccarli: mi concentro prima sul dorso e poi vado sulla pianta, sperando che resti l’odore, ma per fortuna non va via. Lui, intanto gode, ansima ad ogni leccata; gli piace tanto quello che sto facendo e me lo fa capire dicendo: “Ehi, guarda un po’ qua” mostrandomi un durello impressionante. Liberiamo i nostri amichetti (che erano già sull’attenti dal momento del bacio) e ci mettiamo l’uno sull’altro di nuovo a limonare e a fare gli spadaccini. Da lì sperimentiamo tante fantasie mie e sue: per lui è la prima volta in tante cose. Cerco di godermi ogni benedetto centimetro del suo corpo, mi piace tutto. Alla fine, quando stiamo per arrivare al culmine dell’eccitazione, mi implora: “Ti prego, puoi leccarmeli di nuovo? Mi piace un casino quando me lo fai.” Non potevo desiderare di meglio. Questa volta ci mettiamo distesi uno di fronte all’altro e mi mette i suoi piedi sul viso. Eccitatissimo, comincia a masturbarsi e, vedendolo, godo anche io di riflesso, fin quando entrambi non esplodiamo in un orgasmo colossale e ci abbracciamo soddisfatti e appagati. Fisso il soffitto e mi chiedo “Chissà come andrà stavolta?” Questo non lo so, ma per ora io mi sento VIVO.


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    Una tranquilla serata tra amici


    È stata una settimana piena di lavoro ma finalmente era arrivato il sabato sera e come al solito mi sono trovato con il mio gruppetto di amici.
    Essendo solo in 5 abbiamo deciso di passare la serata in taverna, così finito l'ennesimo straordinario mi sono dato una lavata e sono arrivato in taverna.
    Entrai, mi tolsi le scarpe mettendole vicino a quelle degli altri e subito iniziai a chiacchierare con i ragazzi, il clima era piacevole come sempre e lo stress del lavoro era solo un lontano ricordo.

    Ordinammo delle pizze a domicilio e nel giro di un'oretta ci sedemmo a tavola a cenare. Finito di mangiare decidiamo di guardare un film, così ci sediamo in divano e dovendo stare un po' stretti essendoci solo 4 posti i miei amici iniziarono a fare delle battute da gay, e forse anche per colpa della birra appena bevuta, il ragazzo che avevo al mio fianco (che chiameremo Filippo) arrivò addirittura a darmi dei bacetti... loro lo facevano per scherzo, io invece beh... stavo già cercando di pensare ad altro per non far vedere l'erezione che mi stava venendo.

    Facciamo partire il film e Filippo continuò ogni tanto a farmi qualche carezza e ad appoggiarmi la sua gamba sopra la mia ; io lo lasciavo fare evitando però di esagerare, non essendo dichiarato ero parecchio in ansia, non volevo che potessero avere qualche sospetto a riguardo.

    A un certo punto ci fu una pausa sigaretta così restammo in taverna solo io e Filippo, che però ne approfittò della pausa per andare in bagno.
    A quel punto già eccitato com'ero da quella situazione andai vicino alla porta dove avevamo appoggiato le scarpe. Filippo aveva delle All Star rosse alte, ma c'era un dettaglio che mi faceva vagare con la testa ogni volta che gliele vedevo indossare: erano interamente di pelle.
    Mi inginocchiai davanti a quel sogno e ci affondai la faccia; avevano proprio un'aroma piacevole, né troppo forte ne troppo lieve.
    Ero in estasi, chiusi anche gli occhi per godermi appieno quel momento che fantasticavo da diverso tempo e in un attimo ritornò anche l'erezione che mi faceva compagnia ormai da un bel po'... * EHM EHM *
    Mi alzai di scatto, non ci potevo credere, era Filippo.
    Cercai di spiegare borbottando qualcosa ma Filippo aprì immediatamente la porta chiamando gli altri ragazzi, che arrivarono subito e mi videro ancora inginocchiato.

    "Non ti preoccupare caro, pensavi che non avessi capito?" mi disse Filippo.
    Io in quel momento non stavo più capendo nulla, in viso ero rosso come un pomodoro, ma Filippo continuò: "Vedi, non sei l'unico qui dentro ad essere uno schiavetto" e schioccò le dita.
    In un attimo due dei tre fumatori si inginocchiarono ai suoi piedi e Davide, il proprietario della taverna disse "Pensavi davvero che vi facessi togliere le scarpe solo per non sporcare? Io e Fil ti avevamo già inquadrato, non vedevamo l'ora di divertirci anche con te" e a quelle parole l'imbarazzo svanì e, gattonando, andai ai suoi piedi e gli baciai le Vans viola che stava ancora indossando dalla pausa sigaretta.

    Dopo avermi concesso un attimo ai sui piedi Davide ci fece mettere tutti e tre sulla porta, Filippo si rimise le sue splendide Converse e andò a prendere qualcosa in taverna, poco dopo tornò con 3 collari e 3 guinzagli e in men che non si dica io e gli altri miei amici ci trovavamo con il collare legato al collo e Filippo mi ordinò di slacciare con la bocca le scarpe degli altri due, e a quel punto mentre eseguii l'ordine a quattro zampe capii che da quel momento la nostra amicizia sarebbe stata più forte che mai.



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    Una mattina in metropolitana


    Era un sabato mattina milanese di pieno inverno, e come ogni giorno, alle otto del mattino, prendevo la metropolitana (piuttosto vuota al sabato) per recarmi al lavoro nella periferia est della città, in parte assonnato e in parte desideroso di rifarmi un po’ gli occhi, guardando bei ragazzi durante il viaggio, prestando particolare attenzione alle sneakers e ai calzini che indossavano.
    Una volta salito, presi posto in una fila da tre, vuota, e di fronte c'era un tipo, anch'esso solo, per cui ci ritrovammo soli uno di fronte all'altro. Stava leggendo un fumetto di Zerocalcare.

    Aveva l'aria un po’ nerd, con una folta chioma di capelli neri, occhiali da vista con una montatura nera e molto spessa, corporatura piuttosto minuta (penso non fosse più alto di 1.70), cappotto, pantaloni eleganti di velluto marroni e un paio di Clarks nere ai piedi.
    Aveva proprio l'aria da uomo d'affari, ma non riuscivo ad attribuirgli un'età.
    La mia "radiografia" durò pochi secondi, non era esattamente il mio tipo. Un po’ deluso, conclusi tra me che quella mattina non fossi stato particolarmente fortunato.
    Lui continuava a leggere, io ascoltavo la musica. Nessuno guardava l'altro, e il viaggio proseguiva nella totale indifferenza di entrambi...

    ...Ad un certo punto il tipo si chinò leggermente per tirarsi su i calzini, ma notai che non indossava dei calzini scuri di filo di Scozia (visto l'outfit, mi sembrava la conseguenza più logica) ma dei calzini bianchi di spugna. Cercai di coprire il misto di sorpresa ed eccitazione che mi prese all'improvviso.
    Troppo tardi.
    Il tizio intercettò il mio sguardo fisso e interessato, che ormai rivolgevo ai suoi piedi da ormai un minuto (o forse più) e, con un sorriso malizioso, all'improvviso si sfilò la sua Clarks destra, aiutandosi con quella sinistra, e alzò leggermente il piede per mostrarmi la sua pianta.
    Indossava calzini Sk8erboy e, anche senza proferire una parola, il suo messaggio fu molto chiaro.

    Si rimise la scarpa, e ora era lui che fissava le mie Stan Smith, che portavo insieme a dei calzini corti neri che mettevano in mostra le caviglie nude. Di risposta, mi sfilai la mia Stan destra, muovendo un pò le dita dei piedi e, ormai in preda ad un'erezione bestiale, iniziai a toccarmi con lo sguardo fisso su di lui, che ricambiò con un sorriso compiaciuto.
    Si alzò non appena Lorena (la "voce della metro") annunciava la prossima fermata.
    Con un cenno mi invitò ad alzarmi e a seguirlo.
    Con l'eccitazione sempre più crescente, mi sistemai la Stan e mi alzai pure io, stando dietro di lui davanti alla porta del convoglio, che dopo pochi secondi si aprì.

    Ci ritrovammo poi nel parcheggio della stazione. Nessuno dei due parlava.
    Io ero totalmente in trance e pensavo solamente a seguirlo, del tutto inconsapevole di cosa stessi facendo, in compagnia di uno sconosciuto, e dove fossimo diretti.
    Poco dopo tirò fuori le chiavi della macchina e mi indicò di entrare. Mi stava portando da qualche parte, ma la situazione era così strana ed eccitante allo stesso tempo, che non mi permisi nemmeno di chiedergli dove stessimo andando. Non ero preoccupato, né impaurito, volevo solo scoprire in silenzio cosa avesse in mente.
    Appena entrato in macchina, e chiusa la porta, si portò la mano ai lacci delle Clarks, che slacciò, se le tolse, e le lanciò sui sedili posteriori con un atteggiamento arrogante, rimanendo quindi con i soli calzini. Nell'abitacolo iniziò a sentirsi un discreto odore di piedi, non eccessivo, ma conclusi che quei calzini li indossasse da più giorni.
    Mi guardò, inserì la chiave nel quadro e avviò la macchina, premendo con decisione il piede sull'acceleratore, che non solo provocò una bella sgasata, ma tanto bastò per farmi bagnare le mutande.

    Ormai uscivamo dal paese, diretti verso una meta ignota.
    Nel tragitto mi sfilai anche io le Stan e i calzini, appoggiando i piedi nudi sul cruscotto e fissando lui.
    Lui guidava e fissava me, a momenti alterni, sempre in assordante silenzio.
    Notai la sua eccitazione attraverso i pantaloni di velluto. Stavo per avvicinare la mia mano tra le sue gambe, desideroso di sentire il suo pacco e tutto il suo piacere, ma all'improvviso ci fermammo, in aperta campagna, in mezzo al muro di nebbia.
    Scese dalla macchina, scalzo, e tirò in avanti il suo sedile anteriore. Feci lo stesso anche io.
    Con il desiderio e l'eccitazione a mille ci ritrovammo in un lampo, avvinghiati, sui sedili posteriori, pronti a consumare la lingua sui nostri rispettivi corpi…

    ...Ad un tratto Lorena annunciò, a gran voce, la prossima fermata.
    In uno stato tra il divertito e il deluso, sapevo che dovevo scendere dalla metro.
    Lo sconosciuto era di fronte a me, che continuava a leggere tranquillo Zerocalcare, ma non si alzò. Fu un vero peccato non scendere insieme alla stessa fermata.
    Sapevo che quella mattina, prima di mettermi al lavoro, e prima del caffè di rito tra colleghi, avrei dovuto fare una lunga sosta in bagno, perché per quanto la mia fantasia avesse galoppato non poco quel giorno, l'eccitazione tra le gambe fu vera. E dovevo porvi rimedio immediatamente.



    Questo racconto fa parte del Torneo del Racconto. Un racconto al giorno fino al 13 maggio, dopodiché si apriranno le VOTAZIONI dove tutti potranno votare il racconto che preferiscono! Gli autori dei racconti resteranno ANONIMI fino alla fine del gioco!
     
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    Domande


    Quando Andrea seppe del mio "regalo" per Filippo dimostrò sorpresa, forse invidia, ma non un cenno di gelosia. Si presentò a casa mia puntuale come mai prima, il citofono trillò alle quindici meno due minuti; fatte le scale a due a due in pochi secondi eccolo al pianerottolo davanti alla mia porta. Quasi senza saluto, giusto un cenno dei suoi ricci scuri, arrivò in soggiorno e si liberò dello zaino lanciandolo sul divano.

    — Letteratura inglese? - chiesi, mentre lui frugava per recuperare l'occorrente: libro, quaderno, una matita rosicchiata.
    — Yeah, sure - rispose impassibile e sedette scomposto al tavolo in cristallo. Aprì al capitolo su Joyce e iniziò a leggere con buona pronuncia ma senza trasporto un estratto del suo Ulysses.
    — Non così - lo corressi - prova a trasmettere un senso; immagi… - mi interruppe con un colpo di tosse e si ricompose sulla sedia.
    — Pensi che sono un ciclope, prof? che non vedo e non capisco? - domandò senza rabbia - Che bado solo alle pecore? che mi faccio coricare da un "niente" o un "nessuno"? - e tacque: si aspettava una risposta.
    — Qualunque cosa ti abbia detto Filip… - un nuovo colpo di tosse mi impedì di completare la frase.
    — E che ha detto? "Niente". Però mica sono scemo, lo so che qui a ripetizione lui se ne sta scalzo; e ci sta che gli hai preso le ciabatte - fece una pausa, si guardò il polso - Voglio capire: se uno ti chiede che ore sono, gli regali un orologio? Se è così inizio a farlo.
    Aveva uno sguardo serio ma non grave, anzi pareva accennare un sorriso che si tramutò subito in una nuova rincorsa verbale.
    — Stiamo in classe insieme, mica solo agli allenamenti. Parliamo tutta la mattina, secondo te non me lo diceva? e a modo suo: «il prof mi ha comprato 30 euro di ciabatte nuove». Cioè lui si è fatto comprare per 30 euro. Quindi…
    — Quindi? - gli feci eco. Conoscevo Andrea da qualche mese ed avevo imparato a riconoscere, in quelle sue frequenti elucubrazioni ad alta voce, il lavorio di una mente in costante fermento. Si credeva più sveglio di me, di chiunque, e non cercava l'approvazione ma al contrario di suscitare perplessità. Qualche volta lo avevo assecondato.
    — Quindi non ti chiedo regali, perché io non mi svendo. Ti chiedo perché Filippo? E non la risposta semplice: «è così easy che te lo porti a casa con poco». Voglio capi… - questa volta fui io a interromperlo.
    — Chi ti assicura che sia "poco"? - iniziai - Quello che ha ottenuto lui, intendo - aggiunsi svelto.
    — Poco è poco, rispetto a quel che hai avuto tu, prof - rispose assumendo una posizione più comoda, come di vittoria, e sfregandosi le mani. Sapeva qualcosa, e non certo per bocca dell'ingenuo Filippo.
    — Cosa avrei ottenuto io, Andrea? - chiesi dissimulando.
    — Tu scegli un solo genere di studenti: li fai sedere ad un tavolo trasparente così puoi guardare per tutto il tempo quello che ti piace. E non ci sono arrivato subito: pensavo fosse il "pacco" ma poi ho capito.
    — Cosa? - volli insistere.
    — Non c'è mica niente di male. A Filippo non hai neppure dovuto chiederglielo, lui che si toglie le scarpe appena può. Hai speso 30 euro una volta per essere sicuro che se le toglie sempre: le ciabatte restano qui e tu puoi vederlo scalzo ogni volta.
    Seguì un silenzio che nessuno dei due sembrava voler rompere. Lui aveva preso a giocherellare tanto con le mani, sopra il tavolo, quanto con i piedi in sneakers sotto al tavolo. Io non sapevo decidere se negare o ammettere, o come farlo. Infine riattaccò da dove lo avevo interrotto.
    — Quello che voglio capire è se ti piacciono i suoi per un motivo preciso. Filippo mi ha detto che non gli lasciavi togliere le calze. Come sapevi che ti piacevano PRIMA di averglieli visti nudi?
    L'istinto mi portò quasi a rispondere, ma Andrea continuò.
    — Lo capisci guardando le mani? Oppure ti piace "lui" e vuoi vedere solo i "suoi"… Ma questo mi pare strano: uno perché è Filippo, due perché anche a me guardi le scarpe, tipo ora.
    Colto in flagrante. Come uscirne? Ah ecco, aveva già ripreso.
    — Ti chiedi come sono i miei, prof? Vuoi che mi tolgo le scarpe? Mi compri le ciabatte se resto scalzo? - e nel dirlo accennava a sfilarne una aiutandosi con l'altra. - Spiegami perché proprio Filippo e le tolgo subito.
    — Èlemessè - borbottai. Lui mi fissava indagatore e preferii scandire - È la misura; è quello che cerco, la grandezza. - ci fu ancora una volta silenzio.
    — Ma la misura del piede, prof? Abbiamo lo stesso numero, io e lui, anzi mi sa che di poco li ho più grandi io. Devo credere che sia solo questo?
    — Non è poco, per quanto difficile da capire - risposi sincero.
    — Allora come promesso… - sfilò entrambe le scarpe in un istante, e se anche fossi stato impossibilitato a vedere avrei subito avvertito l'odore leggero e pungente - Non devi mica comprarne un altro paio - proseguì, chinandosi leggermente, levando anche i calzini che poggiò sul libro aperto - posso usare le stesse ciabatte di Filippo… però dovrai rispondere ad un'altra domanda!



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    Lo studente e il portinaio


    Mi chiamo Claudio, faccio il portinaio, e questa è la storia di come conobbi Leo, il mio padroncino.
    Per lui, farei di tutto.

    La prima volta lo vidi quando andai a dirgli di abbassare il volume, durante una festa.
    Quando aprì la porta, indossava solo una bella camicia elegante e dei jeans aderenti, ai piedi un paio d’infradito.
    Mentre lui era distratto a chiedere di abbassare il volume, lo sguardo mi cadde a osservargli i piedi: bella forma, forse un 42. Dita perfette come le unghie, pulite e curate come il suo viso da ragazzino ventenne, incorniciato da capelli di un castano chiarissimo, quasi biondo. Tradii un lieve turbamento, sapevo già di desiderarlo.

    Consegnandogli la posta, appresi che si chiamava Leo. Bravo ragazzo, amichevole. Se riuscivo a parlare con lui era solo perché i suoi piedi nelle scarpe non mi turbavano più di tanto come quando indossava gli infradito.

    Quella sera d’ottobre pioveva a dirotto. Erano quasi le 19, per cui mi apprestavo a chiudere la guardiola e andarmene a rilassarmi davanti alla TV, quando suonarono al campanello. Una figura incappucciata in felpa e jeans che reggeva dei libri che saltellava qua e là: Leo.

    Gli chiesi come mai non aveva usato le chiavi per aprire il portone. Mi rispose che come un pirla se l’era dimenticate a casa, e che quindi le avrebbe chieste a me.
    Mi chiese se poteva farsi una doccia. Io acconsentii, prestandogli anche dei vestiti.
    Dopo un po’ che aveva fatto andare il phon per asciugarsi i capelli, venne in salotto e si sedette sull’altro divano, perpendicolare a me. Aveva indossato la tuta che gli avevo dato, che gli stava un po’ larga.
    - Ehi, grazie Claudio. Mi sarei preso un bel raffreddore. –
    - Tranquillo – risposi alzando gli occhi dallo smartphone – Fai come se fossi a casa tua. –
    I suoi piedi erano proprio davanti al mio sguardo, belli e morbidi. Occasione irripetibile.
    Aprii la fotocamera, senza rendermi conto di aver lasciato il flash, così che il mio telefono emise la luce bianca continua e fece il rumore dello scatto. Quando me ne resi conto, era già tardi.
    - Oddio! Scusami, io non..-
    - Siediti – disse, in tono quasi perentorio. Obbedii.
    Lui mi fece un sorrisetto sornione – L’avevo capito subito, sai? –
    - Cosa? –
    - Ci siamo capiti. Cosa sei disposto a fare per me? –
    Poggiò i suoi piedi sulle mie gambe.
    Incantato, io non risposi, con il cuore che mi batteva a mille e il pene che premeva nei pantaloni.
    Allungò un piede in quella direzione, massaggiandomi dolcemente la patta.
    - Quello che vuoi – risposi, senza pensarci.
    Mi sorrise sardonico, prima di ordinarmi – Baciameli. –

    Gli presi il piede sinistro in una mano e incominciai a baciarlo, mentre lui si rilassava. Aprì le dita, intrappolandomi le labbra.
    Quello che avevo in bocca era un piedino così perfetto e straordinariamente dolce. Indescrivibilmente buono. Succhiai avidamente le sue dita gustandomele a fondo, al tempo stesso beandomi dei suoi mugolii.
    A un certo punto vidi che aveva tirato fuori il suo pisello e mentre io gli leccavo il piede, si soddisfaceva con una mano.
    - Mmm… - disse, prima di mettermi anche il piede destro in bocca, che accolsi leccandolo avidamente. Con la lingua incominciai a spennellargli le piante, allora Leo mormorò “sì!”, bagnandosi le mani del suo sperma.
    Senza smettere di leccare, mi misi una mano in tasca e tirai fuori il mio fazzoletto pulito, allungandoglielo. Lui lo prese e si pulì le mani, mentre io ancora gli ciucciavo le dita.
    - Stenditi – mi ordinò, mentre mi toglieva i piedi di dosso e li metteva sul tappeto.
    Coi suoi piedi iniziò a massaggiarmi la patta, stuzzicandomi. Tirò fuori il cellulare e cominciò a farsi cazzi suoi, forse su Facebook. La cosa mi fece ancora più piacere: mi sentivo un oggetto.
    Diede un colpetto con l’alluce sulla cerniera – Abbassala. –
    Obbedii, il mio pene era duro. Lui lo carezzò per un po’ attraverso il tessuto dei boxer, finché non infilò il piede dentro.
    Le sue dita sulla mia cappella erano leggermente umide dalla mia leccata di poco prima e morbide, tanto che mi rilassai sul tappeto mentre lui mandava il secondo piedino a partecipare alla festa.
    Con le dita del piede sinistro mi teneva fermo il pene, mentre con quelle del destro aveva preso a strizzare e coccolare la cappella, regalandomi sensazioni uniche.
    Le sue dita mi esploravano, portandomi sull’orlo del piacere.
    A un certo punto, infilò un lungo ditino nel prepuzio, mentre continuava a farsi gli affari suoi. Sudavo per lo sforzo di trattenermi, ma sapevo che da lì a poco sarei esploso, per cui decisi di godermi il momento.
    Mentre il ditino continuava nella sua esplorazione solleticandomi il frenulo, gli carezzai il piede. Lui non diede segno di accorgersene, ma in compenso aumentò la forza, al che io misi le mie mani sui suoi piedi e chiusi gli occhi, mentre inondavo di sperma le sue giovanissime dita irruenti. Lui allora continuò più velocemente, godendosi quell’inondazione di liquido sotto le dita.
    Respiravo a fatica, mentre lui continuava a giocare anche dopo che ero venuto. Gli carezzai dolcemente il piedino ancora dentro i boxer, e fu allora che mi guardò e mi fece un occhiolino, sorridendomi.
    Presi i fazzoletti dal tavolino, ma lui mi fermò – No. Non pulire. Mi piace. – e diede un altro colpetto al pene con l’alluce, cosa che mi fece arrossire.
    Cenammo insieme. Lui mi tenne i piedi sulla patta per tutto il tempo, anche quando ci trasferimmo in salotto per concludere la serata, ovviamente con altre leccate ed altri orgasmi.

    "Per te Farei di tutto", penso sempre mentre sono con lui.



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    Osceno ritratto


    Quando suonò il campanello Sebastian era a torso nudo in calzoncini e rigorosamente a piedi nudi. Un bel paio di fette 44 larghe e lisce che facevano venire l’acquolina in bocca a tutti: donne e uomini. Specialmente uomini. Sebastian li preferiva di gran lunga perché _ era appurato! _ erano molto più bravi a leccare e servire i piedoni di un intrigante master quale era lui.

    Era steso sul divano a sfogliare dei cataloghi di arte. Da una parte lo eccitava pensare alle foto in bianco e nero di quei manzi mezzi nudi e col pacco in evidenza e dall’altra gli era salita un po’ di malinconia a pensare al barrio di Buenos Aires in cui aveva vissuto per anni col suo giovane coinquilino sempre voglioso e disponibile e alle magnifiche strade che si affacciavano a Plaza de Mayo ma anche alla Casa Rosada, e soprattutto all’Avenida Corrientes , quella che è definita “ la strada che non dorme mai” con i suoi numerosi locali notturni carichi di promesse e lussuria che Sebastian conosceva bene. E a questo proposito la malinconia aumentò anche nel ricordare i ragazzi dai capelli neri, dai piedi teneri e grandi, morbidi e vigorosi, quei ragazzi illuminati dalla luce di follia carnale.

    Il campanello all’improvviso lo scosse e gli fece ricordare che lui era un argentino di trent’anni lontano da casa, un fotografo di successo che riceveva spesso nel suo lussuoso (e lussurioso) attico a Parigi. Si alzò, spense la sigaretta, si infilò una camicia e aprì la porta. Era davvero bello: un ventenne dai capelli castani ricci che sfiorati dalla luce assumevano un colore di grano maturo e dalla bocca carnosa e infantile. Il primo pensiero fu quello di prenderlo per i folti capelli e sbatterlo in terra ai suoi piedi costringendolo ad adorarli ma sublimò il suo desiderio con un sorriso di circostanza un po’ ambiguo e cattivo.

    Lui avanzò un po’ timido con fare pigro: indossava infradito, calzoni corti e una maglietta aderente che gli faceva guizzare il corpo tonico. Sebastian chiese il motivo della visita inaspettata. “Lei è un apprezzato artista e io vorrei un ritratto” disse il giovane mentre sedeva sul divano, di fronte al bel fotografo. Sebastian nel valutare l’offerta stese le sue gambe fin quasi a sfiorare le cosce del giovane con i suoi bei piedoni attraenti. “Sarò lieto di ritrarti con la mia macchina fotografica, ma…”. Si interruppe e il giovane attese. “… ma non so se conosci il mio metodo.” continuò Sebastian con sfida. “Per ottenere un ottimo ritratto io chiedo ai miei modelli di liberarsi da ogni vergogna, di rivelarmi tutti i segreti più intimi e tutte le voglie del loro corpo. Sei in grado di soddisfare questa mia esigenza?”

    Mentre parlava aveva iniziato ad accarezzare il viso del giovane col suo piede, il quale non riusciva a sottrarsi. Non voleva. Il viso arrossiva ma le sue labbra carnose iniziarono a schiudersi e a baciare e leccare quei gustosissimi piedoni e iniziò ad ansimare di piacere. “Lecca, servetto. Lecca i piedi al tuo padrone!” La violenza delle sue parole spezzava la resistenza del giovane: il suo cervello urlava di sdegno ma la sua lingua pennellava il dorso e la pianta di quei gustosissimi piedi di maschio potente. Sebastian lo spogliò elencandogli tutte le perversioni che aveva in mente: lo voleva steso a terra nudo come uno zerbino a leccare mentre lui dall’alto lo innaffiava di pioggia dorata, voleva sculacciare quelle chiappe piccole e sode fino a farlo piangere, voleva masturbarsi sui suoi piedi e poi spalmare il caldo e vischioso sperma sulla faccia del suo nuovo schiavetto obbediente. Lui singhiozzava e leccava, come se il contatto con i piedoni del suo Padrone gli restituisse sicurezza ma invece lo spingeva sempre più nell’umiliazione. “Si, si, mi piace! Ancora!” mugolò il servetto che si muoveva ormai come un indemoniato, una puttanella disposta a fare di tutto per compiacere quel pezzo di manzo di Argentino rude ed esperto. A questo punto Sebastian gli strofinò la cappella sul viso, schiaffeggiandolo col suo grosso cazzone. Poi infilò l’asta nella sua bocca con un solo colpo, facendogli assaporare il suo sapore di maschio attraverso dei colpi di reni fino a schizzare ancora in un orgasmo da artista! Quindi si rimise i calzoni e lasciò il ragazzo in terra appagato.

    “Il vero ritratto è quello che hai vissuto. Ti ho mostrato la tua essenza profonda, il tuo desiderio nascosto, la verità del tuo corpo.”. Lui ancora nudo in terra, a capo chino, chiese: “Quanto ti devo? “Sebastian avrebbe potuto chiedere qualunque cifra ma rispose: “Il prezzo da pagare è che da ora in poi sarai ai miei ordini, schiavo delle mie voglie e mi obbedirai ogni volta che ti chiamerò qui da me”. E per suggellare il “contratto” Sebastian gli spalmò sulla faccia i suoi piedoni dall’odore di maschio latino. Anche se era lontano da casa aveva ritrovato i suoi piaceri abituali, a Parigi. E farsi leccare i piedi da un servetto è sempre un gran godimento!



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    Piedi universitari e bromance


    Mentre Marco, Chris e Giulio si lavavano insieme sotto la doccia, da bravi schiavi piccoletti e pulitini, io mi avvicinai a Jo, il mio fraterno amico di una vita intera, che era steso nudo sul lettone della sua camera.

    Per prima cosa mi avvicinai ai suoi piedoni 46 sudati e sporchi, mentre lui mi sorrideva dolcemente. Quegli stessi piedi luridi e potenti che avevo visto leccare dai nostri schiavi, il cui odore, da sempre, mi era familiare, anche quando scopavamo insieme le ragazze più vacche del nostro paese del Sud, ora volevo assaporarli io, a fondo e con calme.

    Misi la lingua sulla grande pianta bianca e grigia per il camminare sempre scalzo e sentii per la prima volta il sapore del sudore di Jo, ma era come se lo conoscessi da sempre. Lui era mio fratello, il ragazzo con cui avevamo sempre condiviso ogni perversione sessuale, ogni voglia e desiderio bestiale, la più sfrenata intimità... i suoi piedi erano i miei, da anni ormai, e leccarli mi fece indurire immediatamente la mazza, come se qualche schiavo me li stesse leccando: una sensazione di potere assoluto, di complicità e di bestiale fraternità tra noi.

    Leccai per bene la pianta e poi tra le grosse dita volgari, mentre Jo si accarezzava il bastone tra le gambe, le palle sudate, e non diceva nulla, perché non c'era davvero nulla da dire: ormai eravamo arrivati al top!

    Salii su letto, per leccare tra le sue cosce i coglioni odorosi e la mazza che gocciolava precum e sentii che il mio cazzo veniva preso in custodia dai piedoni di mio fratello, che ci giocavano in modo lurido e perverso. Non c'era un briciolo di schiavitù da parte mia nello sbocchinare Jo: era usare le mie labbra e la mia lingua per dare piacere al mio bro, in pratica come fare godere me stesso ed era bellissimo, ve lo assicuro!

    Non lo feci venire, ma risalii ancora e iniziammo a baciarci, con le bocche che sapevano di sudore, canne e alcool, mentre ci segavamo a vicenda con le manone i nostri cazzi maestosi. Il mio corpo muscoloso e abbronzato di 19enne si spalmava profondamente in quello altrettanto atletico, ma bianchiccio del mio migliore amico, il mio bro della vita, mescolando sudori e profumi di potere e virilità.

    Ci leccammo le ascelle pelose e sudate a vicenda, sempre segandoci e carezzandoci le palle luride, sfregando i piedoni gli uni sugli altri e continuammo a baciarci finché non schizzammo, praticamente all'unisono, ricoprendoci di sperma giovane e potente.

    Avevamo appena finito quando, sulla porta della camera, vedemmo spuntare i nostri schiavi bassini: il 21enne sardo Marco, con il cazzetto in tiro, il nostro compagno di uni filippino Chris, che sorrideva beato, e il nuovo arrivato, il figlio del nostro prof, il 18enne Giulio che ci osservava timido e voglioso al tempo stesso.

    Jo disse semplicemente:
    “Venite nel lettone, bro, siete minuscoli e c'è posto anche per voi! Ahahahah!”

    Corsero e si buttarono sui nostri corpi grandi, sporchi e maschili, mentre li stringevamo tra le braccia muscolose, sentendo il fresco dei nostri servetti appena lavati.

    Marco, con gli occhietti chiusi e la testa poggiata sulla mia spalla disse, credo a nome di tutti:
    “Vi amiamo, fratelloni, e ci sentiamo amati da voi, per questo vi ubbidiremo sempre in tutto, senza limiti, per essere sempre più uniti e innamorati.”

    Venire a studiare al Nord è stata proprio una grande idea... non trovate?



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    La tribù dei piedi gustosi


    Waewae Reka avanzava verso la capanna. I suoi piedi, scalzi come quelli di tutti gli abitanti del suo villaggio, si muovevano tremanti ma sicuri, sollevando e raccogliendo polvere dal terreno. Non riusciva ancora a credere di essere stato scelto. Ogni anno, tra i giovani della sua tribù, veniva scelto un giovane come offerta durante il banchetto rituale annuale. Il suo sacrificio donava prosperità alla tribù e aiutava ad ingraziarsi gli Dei. Era un grande onore. Quello non era solo il giorno del suo 18esimo compleanno, ma era anche il giorno più importante della sua vita. Molto emozionato e un po’ intimorito, Reka bussò alla porta. “Avanti” disse una voce dolce e familiare. Ancora più emozionato, entrò. Davanti a lui, seduta a terra, c’era Waewae Ataahua, la sua migliore amica. Sua coetanea, era ammirata e desiderata da tutti i ragazzi e le ragazze del villaggio. Nella capanna era presente un’altra persona: un uomo, molto alto e pesante, con un viso sereno che dimostrava circa 60 anni ben portati. Quando entrò nella capanna, l’uomo si voltò e lo squadrò lentamente da capo a piedi, con un’espressione di dolcezza e di immenso desiderio sul viso.

    “Sono molto felice e sorpreso che tu sia qui” disse Reka a Ataahua
    “Non sarei mai potuta mancare, in questo momento così importante ed emozionante per te”
    “Lui chi è invece?”
    “Lui? Lui è Kae Waewae. Sarà lui a prepararti per il banchetto. Sarà il tuo chef. Io sono qui solo per aiutarlo, e ovviamente per confortarti e sostenerti.”
    “Non avrei sperato in nessuno migliore di voi 2, per questo compito” commentò Reka.
    “Mi fa enormemente piacere sentirtelo dire. Ma ora, credo che sia giunto il momento di iniziare. Avanti, amico mio, svestiti, e poi sdraiati.”
    Reika ubbidì. Si tolse la pelliccia e si sdraiò docilmente a terra. Le piante dei suoi piedi erano rivolte verso di lei. Kae, l’omone, si spostò al fianco di Ataahua, così da guardarlo meglio.
    “Sarà meglio cominciare con una pulita e un bel massaggio” commentò Ataahua, ed insieme a Kae, prese in mano dei gusci di cocco, che contenevano un olio fresco e profumato. Entrambi se ne riempirono le mani, poi cominciarono ad ungere il corpo di Reka. Con le mani unte, Kae cominciò a palpargli il collo, le spalle, poi scese ai capezzoli, stuzzicandoli con i pollici, poi con l'intera mano cominciò a massaggiare la sua pancia tonda, in modo da farlo rilassare.

    Nel frattempo, Ataahua si dedicava alla parte inferiore di lui: dopo avergli unto per bene le cosce robuste e i morbidi polpacci, si soffermò sui suoi piedi: erano grandi, forti, soffici sul dorso e sodi sotto le piante: con le sue piccole mani, sembrava che Ataahua non riuscisse nemmeno a coprirne l’intera superficie. Reika, dal canto suo, era passato dall’emozione all’estasi. “Hai davvero un aspetto delizioso” disse dolcemente Ataahua “farai una figura meravigliosa, al banchetto. E i tuoi piedi... sono eccezionali. È da quando siamo piccoli che li guardo. Hai i piedi più belli di tutto il villaggio”
    “Ti ringrazio. Anche i tuoi sono molto carini, a dire il vero”
    “Hai ragione. Probabilmente sono la seconda persona nel villaggio con i piedi più belli, dopo di te” rispose la ragazza ridacchiando “ma ora girati, per favore”
    Reika non se lo fece ripetere: e, mentre, sdraiato a terra, il gigantesco Kae gli palpeggiava la schiena e le natiche paffute, Ataahua, senza preavviso afferrò le caviglie di Reika, le alzò, tenendogli i piedi puntati per aria, e dopo avervi avvicinato il viso, cominciò a leccarli avidamente. Affondò il naso tra le dita, ricoprì i dorsi di baci, con la lingua ripulì ogni millimetro di olio che era rimasto sulle piante... mordicchiava in talloni, succhiava le dita, voleva a tutti gli effetti nutrirsi dei piedi del suo migliore amico, prima che tutto il resto del villaggio si nutrisse di lui. Reka, dopo un iniziale gemito di sorpresa, si rilassò e la lasciò fare. Kae, ispirato dall’esempio di Ataahua, decise di imitarla. Mentre la ragazza si concentrava sul piede destro, lui afferrò il sinistro, e cominciò a succhiarlo, come se volesse aspirarlo all’interno del suo stomaco. Reika era in estasi.

    “Sei la cosa più buona che io abbia mai assaggiato, amico mio...” mugolò Ataahua “non vedo l’ora di essere in prima fila al banchetto. Questi piedi spetteranno a me”
    “è un vero onore, per me....” fu l’unica cosa che riuscì a dire Reika, mentre Kae, continuando a mordergli il piede, aveva preso delle erbe aromatiche e le stava cospargendo sui suoi polpacci, per poi prendere un sottile filo di corda e usarlo per legargli dolcemente i polsi dietro la schiena.
    “Kae non vedrebbe l’ora di legarti anche le caviglie” commentò Ataahua stuzzicandogli con i polpastrelli le piante dei piedi frementi “ma devi poter camminare da solo, per uscire da questa capanna e dirigerti verso il pentolone che ti aspetta. Pensa un po’: la strada da qui a lì e stata ricoperta di spezie, aromi ed erbe simili a quelle che Kae ti sta spalmando addosso ora: così, camminando, le calpesterai, e si appiccicheranno sui tuoi succulenti piedoni, ricoprendoli di profumi e rendendoli saporiti come non mai. Te lo meriti.”
    “Ti voglio bene” disse sinceramente Reika. “Anche io” rispose Ataahua “ora alzati, va, e buona cottura. Ci rivedremo in tavola"



    Questo racconto fa parte del Torneo del Racconto. Un racconto al giorno fino al 13 maggio, dopodiché si apriranno le VOTAZIONI dove tutti potranno votare il racconto che preferiscono! Gli autori dei racconti resteranno ANONIMI fino alla fine del gioco!
     
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    Di nuovo ai piedi di Davide


    Da quando avevo ricevuto quella telefonata non riuscivo a pensare ad altro, finalmente lo avrei rivisto e a casa sua. Ormai i tempi da bambini erano finiti, non eravamo più migliori amici da tempo ormai e i giochi in cui finivo sistematicamente sotto i suoi piedi e glie li leccavo erano passati. Già più di 10 anni fa.
    Non mi fraintendete, ho sempre avuto una dignità, un orgoglio e certo non pensavo che dei giochi da bambino, ragazzino mi avrebbero fatto innamorare dei piedi maschili. Da 3 anni avevo ripreso contatto con lui, e pensare che abita al piano di sopra rispetto al mio, ma era come se mi evitasse, c'eravamo visti solo 3 volte ma ormai da un anno e mezzo non riuscivo neanche a parlarci per telefono. Poi gli mandai un messaggio sui nostri giochi che facevamo in passato e misi il riferimento al fatto che finivo sotto i suoi piedi, ancora meno riscontro, meno risposte, mi ero arreso, il fatto che non si fosse degnato neanche di una risposta mi costrinse a una mesta resa. Decisi che non ci avrei più provato e così feci. Poi qualche giorno fa quella telefonata, mi invitava a casa sua perché mi doveva far vedere una cosa, mi diede appena il tempo di accettare, poi mi salutò e chiuse subito la chiamata, io esultai dentro di me, sapevo che non sarei finito sotto i suoi piedi come i bei tempi andati ma a me bastava rivederlo, in fondo eravamo stati grandi amici a parte tutto.
    Così, quel giorno alle 18 di pomeriggio in punto suonai il campanello di casa sua e poco dopo, la porta mi fu aperta da lui di persona, aveva una maglietta bianca, un pantaloncino e le infradito ai piedi, non ci credevo! Quando ci frequentavamo da bambini, ragazzini era spesso scalzo effettivamente ma quelle 3 volte che lo avevo incontrato negli ultimi anni non lo avevo più visto scalzo. Devo dire che rivedere quei suoi piedi rosa chiaro che trasudavano mascolinità mi fecero andare in estasi e le mie ginocchia quasi tremavano, distolsi lo sguardo dai suoi piedi e mi accorsi di averli osservati per più tempo e quando rialzai lo sguardo vidi Davide fare un sorriso quasi di scherno ma probabilmente era solo una mia impressione, mi fece entrare in casa e mi disse: "Seguimi, andiamo in camera mia"
    "Si" gli dissi io
    Seguii Davide verso la sua camera e ogni passo che faceva invidiavo le infradito che indossava. Aprii la camera, e mi fece entrare, poi entrò lui e stranamente chiuse la porta della stanza a chiave, sul momento non capii, poi si stese sul letto buttando le infradito per terra, incrocio le sue gambe abbastanza robuste e aveva i suoi piedi in bella vista, il mio cuore batteva già molto forte ma certo non mi aspettavo la frase che seguì
    Davide: "Allora cosa aspetti?"
    Io fui destato per un momento dalla visione di quei piedi e dissi: "Cosa? Non capisco"
    Davide : "Inginocchiati e striscia ai miei piedi, tanto si vede che è quello che vuoi"
    Io: "Stai scherzando, vero? Non lo farò, sono cresciuto"
    Davide: "Si vede benissimo che sei innamorato delle mie estremità ancora adesso"
    Io stavo per ribattere, avrei voluto più di ogni altra cosa i suoi piedi in faccia ma non volevo che il mio orgoglio fosse calpestato ma mi anticipò.
    Davide: "Hai due opzioni, o te ne vai e ti scordi di ricontattarmi, non ci riuscirai più oppure strisci ai miei piedi e fai ciò che ti piace e per cui sei nato" .
    A quelle parole le mie ginocchia non ressero più e poi mi stesi sul pavimento e strisciai verso i suoi piedi, il cui palmo era ancora più bello del dorso, così maschio ma nello stesso tempo delicato, insomma qualcosa di indescrivibile, avevo posto la mia dignità sotto i suoi piedi, mi sentivo umiliato ma non riuscivo a resistere, il suo sorriso mentre strisciavo mi fece eccitare ancora di più. Arrivai nei pressi dei suoi piedi.
    Davide: "Che c'è schiavo? Vuoi questi in faccia?" Disse scuotendo i piedi e facendomi impazzire.
    Io annui sconfitto ma lui infierì
    Davide: "Supplica"
    Non era mai stato così cattivo ma del resto erano passati anni, così supplcai dicendo : "Ti prego padrone, ti supplico, io vorrei tanto che mi concedessi l'onore di avere un tuo divino piede sulla mia lurida faccia, ti prego!"
    Davide:"Ahahah, sei patetico". Detto questo alzò il suo piede sinistro e me lo mise in faccia, ero in paradiso.


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    Lo spogliatoio


    La squadra finita la partita si dirige rumorosamente verso lo spogliatoio intriso dall’odore di maschio. Stanchi e completamente zuppi di sudore i ragazzi iniziano a spogliarsi per potersi andare a lavare. Come per ultimo, come al solito, dopo averci provato con qualche ragazza a bordo campo entra Giacomo. <ohh SSII, CHE ODORE DI MASCHIO!> dice guardando gli altri ragazzi che rispondono con una risata. Si siede sulla panchina vicino a Filippo e lo abbraccia <hai visto o no che goal che ho fatto eh> dice grattandogli la testa con le nocche <dai, smettila> gli risponde il ragazzo dimenandosi dalla morsa del braccio sporco, <uffa con te non ci si può mai divertire, è per questo che le ragazze non ti filano… verginello> gli dice ridendo e cercando di toccargli il pacco. Filippo gli sposta la mano infastidito <dai scherzo, poi me lo dai il passaggio? Non mi hanno ancora ridato la patente> <si tranquillo> gli risponde. Mentre ora il ragazzo parla al telefono, Giacomo è in mezzo alla stanza a fare battute porche e a raccontare cosa fa con le ragazze.

    La restante squadra ha finito di prepararsi e velocemente escono salutandosi, lasciandoli da soli. Filippo ripone il telefono e richiama il compagno per farlo sbrigare e inizia a spogliarsi mentre Giacomo chiude a chiave la porta senza farsi vedere. Raggiunge il compagno che ormai mostra per intero la sua pelle chiara, lo prende per le spalle, lo gira e lo spinge a terra. <che CAZZO TI PRENDE!?> chiede Filippo incazzato <che stupido> dice mentre sta per alzarsi <fermo schiavo> gli dice bloccandolo con la scarpa da calcio sopra al ventre, ancora sporca di fango. Filippo non capisce ma Giacomo interrompe i suoi pensieri <lo so che ti piace esserlo>. Nello sguardo di Filippo c’è un misto di paura ed eccitazione mentre una scossa si propaga al suo pisello ora più vispo. <ora goditi un vero maschio, toglimi di scarpa!>. Filippo non vuole perdere quell’occasione e slacciando i nodi rimuovere la scarpa. Il forte odore di piedi non fa in tempo ad uscire che si ritrova l’intera pianta n° 45 stampata sul naso. Giacomo preme mentre sente anche lui il pisello già a barzotto. Filippo non resiste all’eccitazione, prende con entrambe le mani il piede e inspira profondamente. Giacomo è impressionato dall’avidità del suo amico e si tocca mentre gli ordina <leccalo per me, verme>.

    <stavo aspettando il suo ordine, signore> gli risponde prima di iniziare a passare la lingua sui luridi calzini di spugna. La stoffa ha intrappolato tutto il sudore e lo sporco accumulato durante la stagione e il sapore è indescrivibile. Dalle leccate passa al ciucciare letteralmente la stoffa per poter soddisfare la sua libido <guardati, sei un verme, ma mi piace. Non ho voglia di lavarmi, quindi fai un buon lavoro> dice mentre si siede sulla panchina. Filippo lo segue a gattoni e si rimette sdraiato con i piedi di Giacomo sul corpo nudo. Mentre prende anche l’altra scarpa per poterla sfilare e godersi di nuovo la sua divinità Giacomo mette un piede sul cazzo gonfio e venoso. Filippo inarca la schiena e mugola non appena la stoffa bagnata sfiora il glande leggermente scoperto ma la sensazione si trasforma in dolore quando Giacomo tira una tallonata sull’erezione <ti ho detto di pulire, non di eccitarti> gli dice sputandogli quasi in faccia.

    Mentre ciuccia l’altro calzino lo guarda, non resiste, vuole assaggiare la sua pelle. <toglili>. Il bordo dal polpaccio scende, supera il tallone mostrando la pianta e raggiunge finalmente le dita mostrando il perfetto 45 di Giacomo. Filippo li conosce bene, è riuscito in più occasioni a fotografarli di nascosto, ma adesso è tutto diverso. Finalmente li ha per sé, i piedi sui cui ha speso molti orgasmi notturni. Le sue labbra si avvicinano alla pelle, il tempo sembra trascorrere al rallentatore. Le labbra si adagiano finalmente sulla calda pelle sporca e odorosa, i polmoni si gonfiano e nel frattempo la lingua esce e gusta. Il movimento raccoglie dello sporco dalla pianta sinistra e il pisello duro e gonfio esplode senza neanche toccarlo in vigorosi fiotti che vanno a bagnare il ventre di Filippo e i polpacci di Giacomo che si gode la scena. Un profondo e lunghissimo orgasmo attraversa il corpo del ragazzo facendolo tremare ma non smettere di adempiere il suo compito, la lingua infatti è ancora a contatto con il piede del suo maschio padrone, percorre lungo la pianta e pulisce tutto il tallone per poi dirigersi verso le dita. Filippo si tiene la parte migliore alla fine e poi finalmente spalanca la bocca e le infila dentro. Visto il numero molto grande, non riesce a ciucciarle tutte in una volta ma poco importa, ora la sua lingua è avvinghiata al grosso alluce intriso di quel sapore acre da vero maschio.



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    Sono curioso di vedere come andranno le votazioni
     
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  15. MIrko1990
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    Tutti molto eccitanti onestamente la scelta è stata ardua
     
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33 replies since 2/5/2020, 14:28   13377 views
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