Incontrai molte altre volte quel ragazzo timido.
Il più delle volte dove lavoravo, la sera tardi quando non c’era nessuno. Entrava e scivolava subito buono e in silenzio sotto alla scrivania.
Con il tempo avevo imparato a dominare più seriamente. Il patto era che in qualsiasi stato fossero i miei piedi lui me li avrebbe leccati con dedizione. Potevano essere freschi o sudatissimi. Non stava a lui la scelta: era a mia disposizione. Amava molto le scarpe, soprattutto se portavo stivaletti l’inverno. Cominciava col baciarli e leccarli, lucidandolo a fondo e con grande cura. Non leccava le suole, ovviamente, ma amava essere calpestato, sul corpo e in faccia. Io lo facevo con generosità.
Poi mi sfilava le scarpe e steso sotto alla scrivania era uno zerbino perfetto. Me li massaggiava continuamente con un tocco molto dolce, come quando si tocca qualcosa di prezioso.
Sfilati i calzini ci faceva l’amore con i miei piedi. Li baciava, leccava e succhiava continuamente facendomi venire i brividi. Era un’adorazione continua e impegnativa. Il suo dovere e piacere, come dicevamo tra di noi.
Dopo una lunga sessione di leccapiedi, anche due ore, gli ordinavo di soddisfarmi sessualmente, che era un altro suo dovere. Mi bastava tirarlo fuori dalla patta, sotto la scrivania, senza nemmeno guardarlo o parlare. Lo prendeva in bocca ubbidiente e succhiava piano o veloce, se gli mettevo una mano in testa per obbligarlo a aumentare il ritmo. Nel tempo avevo preso a venirgli in faccia, cosa che non amava per niente e lo faceva sentire umiliato. Ma nonostante questo o forse proprio per questo io gli ricoprivo la faccia di seme, senza alcun ritegno. Era normale usarlo per svuotarmi, era il mio schiavo.
Al di fuori delle sessioni non avevamo un particolare rapporto ma ci siamo rispettati sempre a vicenda.